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O.B.O., 10 anni dopo

foto di Antonio Viscido

di Gabriele Giustini e Leonardo Cianfanelli

Per la gran categoria gruppi a cui è impossibile voler male, gli O.B.O. (Oshinoko Bunker Orchestra) hanno un posto speciale nel nostro cuore. Nati dalle ceneri dei De Glaen – eccellente band fiorentina di metà anni ’90 di cui tutti si parlava bene durante ricreazione mentre aspettavamo il nostro prosciutto e funghi al Gramsci – gli O.B.O si sono formati nel 2003 per volere di Vanni Bartolini e Lorenzo Moretto, già insieme appunto nei De Glaen suonando rispettivamente chitarra e batteria. Così come nei De Glaen prima e negli O.B.O. poi, si è sempre sentito quell’odore DIY di casa SST e Dischord, post-punk, ritmi sincopati e slabbrate scheletriche.

Tutte cose che ritroviamo con piacere in questo “obo”, nuova uscita disponibile via Blackcandy Produzioni e che recupera alcune canzoni scritte anni fa, unite a nuovi brani realizzati nel 2018, anno in cui la band ha avuto un nuovo impulso. Alla regia, per completare la rimpatriata, Marco L. Lega ed un paio di ospiti di eccezione: Mike Watt (Minutemen, Firehose e millemila collaborazioni), al basso nel brano ‘W.I.T.J’ e Nàresh Ran (DioDrone, Hate & Merda) alla voce in ‘Lou C. Star’.

Abbiamo raggiunto la band (Vanni BartoliniFrancesco FusiLorenzo Moretto) per qualche domanda.

Come molti, riascoltavo l’incredibile catalogo che la Dischord Records ha recentemente messo in toto on line su bandcamp, stupendomi ancora una volta di quanto fosse necessario e seminale quel periodo. Voi che ci siete cresciuti, come lo avete visto cambiare?

L.M.: Per ciò che mi riguarda, la Dischord mi fa ripensare al gruppo che principalmente mi ha influenzato di quel giro: i Fugazi. Direi che il mutamento fondamentale è avvenuto nei primi anni 2000, dopo l’uscita di uno dei dischi che più mi è piaciuto (The Argument) e la successiva “pausa” della band: da quel momento la maggior parte della produzione di questo tipo di proposta rock e di band è diminuita. 

F.F.: Anche io ho ascoltato molti gruppi del catalogo Dischord e la cosa che trovo più cambiata è l’attitudine live, o meglio la disattenzione che c’è adesso da parte della società nei confronti dei concerti: è tutto più asettico e al momento non sembra che suonare abbia più lo stesso significato.

V.B. : Beh, il cambiamento più grande è che prima ti spedivano un vinile Dischord per 8 dollari e adesso trovi tutto su Bandcamp appunto! A parte le battute la scena Dischord, e in generale tutto il punk/hardcore americano, è stato ciò che più mi ha influenzato nel mio essere musicista, soprattutto in termini di attitudine ed etica del lavoro applicato alla musica. Tutti quei gruppi continuano a rappresentare il background di tantissimi progetti in tutto il mondo e sinceramente penso che sotto questo punto di vista il loro significato si protrarrà ancora molto nel tempo.

In una scena musicale contemporanea dove l’urgenza e la iperproduzione la fanno da padrona, voi avete scelto di prendervi il vostro tempo e di tornare dopo quasi dieci anni dalle vostre ultime apparizioni. Perché? Cosa c’è stato nel mezzo?

L.M. : Diciamo che all’urgenza di pubblicare preferiamo sentirci soddisfatti del lavoro che stiamo facendo e quindi questo ci porta ad essere piuttosto lenti nella produzione di nuovo materiale. Chiaramente non sono state queste le uniche motivazioni, visti i tanti anni, ma ci sono stati anche molti altri fattori personali che ci hanno portato a non arrivare mai a definire una fine alla composizione e all’arrangiamento dei pezzi. Per la mia parte personale io ho dedicato molto tempo anche all’impegno, finito nel 2018, di suonare nei Diaframma. Abbiamo avuto anche grosse pause in cui eravamo fermi (anche magari per 2 anni) pur avendo il materiale tra le mani. Ci è capitato talvolta di fare qualche concerto sparso, ma senza mai andare a fondo nel far quadrare il disco. Nel 2018, visto che i pezzi ci piacevano molto, ci siamo finalmente decisi e abbiamo trovato energie e tempo per registrare tutto il materiale in sospeso.

V.B. : La necessità di iperprodurre non è una pressione che abbiamo mai sentito addosso, anzi, siamo sempre stati molto lenti nel comporre e poco avvezzi a pubblicare materiale che non ci convincesse totalmente. Scartiamo sempre tantissime idee perché non ne siamo convinti fino in fondo, così come magari ne riprendiamo altre a distanza di tempo perché nel frattempo le sentiamo mature. In dieci anni succedono un sacco di cose nelle vite di tutti e questo si ripercuote per forza di cose nello sviluppo del gruppo di cui fai parte.

F.F. : Ci siamo presi i nostri tempi per cercare di fermare un sacco di materiale che già suonavamo dal vivo, una volta fatto questo ce ne siamo preso altrettanto per suonarli e prepararli al meglio.

Personalmente la nascita di due figli oltre a procurarmi un manicomio di emozioni mi ha portato ovviamente a fermarmi per lunghi periodi per dedicarmi alla famiglia.

Oltre al metal-hero nostrano Nàresh Ran, nell’album c’è anche il mito vivente Mike Watt, che con l’Italia ha sempre avuto un legame speciale. Com’è stato lavorare con lui e da dove ha origine la vostra collaborazione?

V.B. : Aprimmo un concerto di Mike Watt all’Auditorium Flog diversi anni fa e lì ci conoscemmo. Ci ritrovammo qualche anno più tardi, quando tornò a Firenze con il progetto ”italiano” ( Il sogno del marinaio ) suonando all’Exfila, il locale dove lavoravo come fonico. In quell’occasione lui si ricordò di me e da allora siamo rimasti sempre in contatto. Un giorno gli chiesi se volesse far parte del nostro nuovo lavoro, lui mi rispose che avrebbe avuto piacere di suonare il basso in un pezzo e quindi abbiamo approfittato subito dell’occasione! Per me collaborare con lui è stato speciale, uno di quei punti fermi che metti nella tua vita. È veramente un personaggio fuori dal comune.

L.M. : La cosa incredibile è stata l’entusiasmo con cui ha accettato e ha prodotto il materiale su una base da noi fornita. Questo vale anche ad oggi quando gli abbiamo detto che il disco è stato pubblicato: è felicissimo di averne fatto parte e questa è grande soddisfazione per noi.

F.F. : È un mito, ascoltavo già le sue composizioni passate, è davvero una persona fantastica, lo capimmo subito quando lo conoscemmo suonando prima di lui. Noi gli inviammo un pattern di batteria, giusto un’idea, nulla di più, lui ci rispose mandandoci questa linea di basso che mi sono ritrascritto con non pochi problemi! In studio abbiamo suonato quel brano tutti insieme poi abbiamo sostituito la mia traccia con la sua, quella originale.

Cosa state ascoltando recentemente? C’è solo passato o anche un po’ di presente nella vostre orecchie?

L.M. : Sono sincero: tra i miei ascolti non c’è tantissimo presente. Non trovo facilmente qualcosa di attuale e di interessante da meritare un ascolto assiduo, ma è sicuramente colpa mia. L’ultimo gruppo che ho trovato molto interessante sono i Metz, ma si parla di un gruppo in giro già da dieci anni. Tutti gli altri ascolti si rifanno a band che comunque hanno radici ben radicate nei 20 anni passati e quindi definirli il “presente” mi sembra non proprio corretto. Per il resto siamo inondati dal genere “indie” che la fa da padrone nell’ambiente musicale italiano e gruppi come noi o simili sono sempre da trovare e da scoprire, cosa non sempre immediata.

V.B. : Già, da come poni la domanda si capisce che dai per scontato che non ascoltiamo granché di musica odierna! Se devo essere sincero non faccio neanche troppo per andare a ricercare nuovi gruppi, le band più giovani che mi sono piaciute sono appunto i Metz e gli All them witches, in generale trovo che le cose più interessanti siano sul filone hard/psych e stoner. I dischi che mi sono letteralmente divorato sono gli ultimi lavori di Motorpsycho, DJ Shadow e Godspeed!you black emperor, tutti giovani cinquantenni. Questo vorrà pur dire qualcosa?!

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