Cinema

Quando guardavamo Sex and The City

By Caterina Liverani

May 20, 2020

Dovrebbe esserci un girone dell’inferno speciale per chi, pure sapendo di essere amato, non solo non ricambia, ma continua a ronzarci intorno sabotandoci.

Alla fine è di questo che parla Sex and The City visto con la giusta distanza. C’è una giovane donna, che si guadagna misteriosamente “la stozza” (e i vestiti firmati, e le cene eleganti, e le scarpe, e le borse) scrivendo una volta alla settimana due frasi circostanziali sul laptop, innamorata marcia di un tizio.

Lui non è nemmeno tutto questo granché (ma quando mai lo sono?) però è molto benestante, va detto, e pare abbia un lavoro nella finanza o qualcosa del genere. Lei pur di stare con lui le tenta tutte e nel frattempo rincoglionisce di chiacchiere e teorie tre sue amiche. Di queste, due sono persone normali e con una vita appagante (una è una avvocatessa che lavora tantissimo, si compra una casa e dopo un po’ di cincischiare si sposa con un ragazzo carino da cui ha un bimbo, l’altra – la migliore – non ne vuole sapere di impegnarsi, fa la PR, esce con chi le va ed è una figona da paura). Dalla quarta amica Dio ci salvi. Borghese e snob, fa ancora più macello della protagonista per sistemarsi alla fine con un poveruomo con una gran pazienza per il quale si converte (con una vocazione degna della Monaca di Monza) alla religione ebraica.

Tornando alla protagonista, lei per 10 anni sta dietro a questo tizio che le fa capire in tutte le maniere di non volerla vicina a lungo termine al punto, ad un certo punto, da sposarsi pure con un’altra e, da Gran Maestro dei narcisisti, a riprendersi la poverina come amante approfittandosi del suo incomprensibile ascendente. 

Ora, se la nostra eroina si fosse limitata a tediare le amiche e a ridursi sul lastrico a suon di shopping compulsivo tutto bene, “ognuno si fabbrica la frusta per il suo didietro” dice spesso una mia congiunta. No, lei per ammazzare il tempo si mette con un ragazzone gentile e premuroso a cui fa letteralmente perdere anni di vita: prima tradendolo, poi riprendendoselo, facendosi regalare un anellone, comprare la casa, ristrutturarla e lasciandolo di nuovo in una brutta maniera.

Questa è la lettura cinica fatta a venti anni di distanza da una a cui in realtà Sex and The City è piaciuto molto. In effetti è purtroppo una storia molto comune e tanti di noi ci sono passati. Ci siamo innamorati perdutamente, abbiamo senza volerlo fatto soffrire altra gente probabilmente più di quanto crediamo e abbiamo confidato tutto ad altri amici che di certo non stavano meglio di noi (tutto ciò vestiti H&M probabilmente e lavorando come bestie). Si tratta di una serie tv iconica che comincia a mostrare teneramente i suoi anni in questo sfortunato 2020.

A suo modo ha precorso i tempi e senza nessun aiuto da parte dei social. La bellezza non convenzionale della protagonista, e produttrice esecutiva, Sarah Jessica Parker, le fece arrivare delle tempeste di body shaming orribili (dalle quali lei si è saputa sempre difendere con grande signorilità e una certa astuzia). Il racconto è quello di un’America completamente diversa da ciò che è ora: Donald Trump (che compare nella serie in un cameo nel ruolo di sé stesso) era un tipo simpatico, sulle molestie sessuali si chiude un occhio (tra le tante un pittore chiede a Charlotte di dipingere la sua vagina in un quadro mettendola in imbarazzo e un editore anziano si toglie i pantaloni davanti a Carrie) e la rappresentazione della vita e dei comportamenti dei personaggi omosessuali è piuttosto stereotipata. 

Può essere divertente però per noi spettatori di vecchia data, magari ancora in attesa di un lieto fine, rivivere la rappresentazione di quegli anni così pieni di promesse e liberi da costrizioni che continuano a offrirci spunti di discussione sulle scelte di vita delle protagoniste fra le quali si è saputo, in tempi più recenti, non sempre scorreva buon sangue.

Ci sarà un Sex and The City nel futuro? O la nuova Hollywood divenuta più bigotta e rigorosa ha deciso che dovremo appassionarci ad argomenti più costruttivi del nostro diritto a parlare di sesso e a riderci sopra?