Storie

In Someone’s Shoes – Il Marketing Empatico durante la Pandemia

By Michele Baldini

May 22, 2020

In someone’s shoes: conoscete quest’espressione? Bene, se non la conoscete provate a googlare, stupitevi. La tendenza era già in atto almeno da tutto il 2019, molti esperti la proponevano come la chiave di volta nelle strategie di vendita di un mercato “armato” ma che ormai non ha più pallottole da sparare. E la pandemia l’ha fatta esplodere, con vette di esasperazione che sempre più mi fanno pensare “ma qualcuno ci crede davvero?”. 

Meno prodotti, più emozioni, meno call to action, più I feel you baby. Si chiama marketing empatico (or. Empathy Based Marketing) e tutti avranno fatto caso che le pubblicità su tutti i canali si sono concentrate progressivamente nel racconto per immagini, generalmente a bassa qualità (come video fatti coi telefonini) di fatti e persone “comuni”. Problemi e situazioni quotidiane, accompagnate dagli hashtag #celafaremo, #andràtuttobene, #distantimauniti e così via.

“Siamo entrati” tutti nelle case dei vari testimonial di turno, da Fiorello a Rovazzi, da Cracco alla Venier. Ci siamo chiesti (o almeno me lo sono chiesto io) perché un’azienda che ti vuol vendere una merendina, una macchina o un abbonamento telefonico la prende talmente larga da mettere in scena il compleanno di un settenne, nonni che ballano, anacronistiche mogli che tolgono dal marito (alle prese con gli ultimi spiccioli del mese) la mano dalla fronte corrucciata. E ancora le innumerevoli scene di infermieri, volontari, “l’Italia che vuol tornare a correre”. Fatto sta che – da runner amatoriale piuttosto costante prima di marzo – l’unico che ancora non è tornato a correre pare che sia io. Quindi, empatia una sega. Passatemi il termine.

Ed ecco che, da non più di una settimana, un nuovo mutamento e il ritorno, brusco (anche truffaldino aggiungerei), al marketing push: compra questo, compra quello. 

Oh! Che sospiro di sollievo. Certo, perché nei giorni più bui del lockdown, l’ultima cosa di cui – ripeto, almeno io – avevo bisogno, era il supporto psicologico dei brand più globalizzati e delle facce degli influencer, come in realtà questa strategia proporrebbe. 

Eppure. Eppure la faccenda ancora non mi è chiara:  “credo negli esseri umani”?. Ma forse la risposta la so e non la dico.