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Fuorisede, tra vite sospese e ritorno a casa

Il pensiero di chi scrive va ai più temerari, quelli che “scontano” la quarantena in micro-appartamenti condivisi, tra biciclette stipate lungo i corridoi, cucine come ponti di volo per lavatrici anteguerra al decollo dopo le ventitré e “rigidissimi” turnover di pulizia aree comuni.

Non è certo argomento su cui fare ironia, tanto più se a osservarlo dall’interno è uno dei fortunati, che per vicinanza o per la comodità di un ultimo regionale preso al volo, può trascorrere la quarantena insieme ai suoi vecchi coinquilini: amati, lamentevoli e ormai oltre la sessantina.

I fuorisede sono una delle categorie “in sospeso” nello scenario da paralisi pandemica, in bilico tra affitti da pagare per stanze in cui nessuno entra da settimane, con gli effetti personali in attesa, mentre le delibere in materia tardano ad arrivare e le speranze di tornare a frequentare l’università si fanno pallide.

Difficile essere ironici volgendo lo sguardo ai numeri. Secondo le ultime stime ISTAT la popolazione universitaria Toscana di studenti fuorisede in entrata è pari a 31.924, a fronte dei 10.462 in uscita, con 27.529 unità nel solo capoluogo.

I numeri relativi all’affluenza di studenti stranieri sono alti: “16.000 quelli che arrivano ogni anno nella regione, di cui 10.000 solo a Firenze”, ha dichiarato in una recente intervista il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi. Stime ben più alte riguardano tutti gli universitari prossimi alla conclusione del percorso di studi, sospesi in un panorama dubbioso rispetto alle ripercussioni e gli adattamenti che il mercato del lavoro subirà in seguito alla pandemia.

Quante le  possibilità di mobilità internazionali per lavoro e quante quelle sul suolo nazionale? Fino a che punto sarà richiesto un adattamento a settori di attività che non sono rispondenti ai percorsi di studio intrapresi? Questi gli interrogativi sui quali rinnovare e riprogettare i contesti lavorativi e di formazione nel futuro post-pandemia.

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