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Frastuoni di marzo

IRREVERSIBLE ENTANGLEMENTS “Who Sent You?”
International Anthem

Ho notato che con l’avanzare dell’età, può capitare che anche i propri ascolti musicali vadano ad allinearsi alla data scritta sulla carta d’identità. Nel mio immaginario malato, uno dei generi musicali non proprio da vecchi, ma neanche da teen, è il jazz. E se jazz deve essere, bene che sia contaminato. In quest’ottica, al momento, una delle etichette che meglio di altre incarna questa polluzione, è senza alcun dubbio International Anthem, etichetta di Chicago che non sta sbagliando un’uscita. Non esce da questo modus operandi neanche “Who Sent You?”, nuovo album degli IRREVERSIBLE ENTANGLEMENTS, collettivo free-jazz attivo tra Philadelphia, Washington e New York. Nati nel 2015 per esibirsi all’evento Musicians Against Police Brutality organizzato dopo l’uccisione di Akai Gurley da parte della polizia di New York, gli IRREVERSIBLE ENTANGLEMENTS hanno poi esordito discograficamente un paio di anni dopo con un album omonimo e con alle spalle la nomea di super band dal vivo. Con un pedigree del genere, il nuovo album è esattamente ciò che è lecito aspettarsi: 44 minuti registrati in una sessione unica a Philadelphia, approccio punk-rock, suoni tra free-jazz e post-rock in cui il poeta MC Camae Ayewa (aka Moor Mother) intreccia narrazioni afrocentriche, lotta al capitalismo e i mondi invisibili del lavoro. Disco fantastico.

GIL SCOTT-HERON “We’re New Again: A Reimagining by Makaya McCraven”
XL

L’eredità musicale e poetica lasciata da Gil Scott-Heron è preziosa e, “I Am New Here”, il suo ultimo lavoro realizzato nel 2010 un anno prima della sua scomparsa, ne è un’importante testimonianza. Poeta e musicista straordinario, campionato da un’infinità di artisti, Heron, è considerato uno dei nomi più importanti in ambito Hip-Hop. Quel suo ultimo disco, bellissimo, è stato poi remixato nel 2011 da Jamie XX con “We’re New Here”. Ora, a distanza di dieci anni dall’uscita originaria di “I Am New Here”, è Makaya McCraven, batterista e compositore di Chicago già nel giro International Anthem (vedi recensione qui di fianco), a fare un’operazione ancor più bella, ovvero reinventare in chiave jazz-fumosa e soul – e quindi più vicina allo spirito del musicista statunitense, anch’egli nato a Chicago – quel disco straordinario. Makaya è aiutato da una serie di musicisti suoi concittadini, il bassista Junius Paul, il vibrafonista Joel Ross, il chitarrista Jeff Parker (Tortoise), il tastierista Greg Spero oltre a Ben Lamar Gay e Brandee Younger. Il risultato è tutto in “We’re New Again: A Reimagining by Makaya McCraven”, dove la forza evocativa di Heron vive magicamente di nuova linfa grazie all’estro e all’amore di McCraven. Momento migliore del disco ed estasi assoluta, la rivisitazione di ‘I’ll Take Care of You’, che già era super e che qui diventa super al quadrato.

ALGIERS “There Is No Year”
Matador Records

Non credo sia il termine più tecnico da usare in sede di recensione, ma forse ganzo è il più adatto a descrivere l’ultimo album – così come i precedenti – degli Algiers, band nata ad Atlanta in Georgia, ma concretizzatasi poi a Londra qualche mese dopo. Un po’ come esser residenti da una parte e avere il domicilio dall’altra, anche se essere stranieri a Londra, oggi, forse non è una gran mossa. Ganzo verrebbe da associarlo anche ai Bloc Party, e non è un caso che l’ex-batterista della band inglese, Matt Tong, abbia poi trovato casa proprio negli Algiers. Prodotto da Randall Dunn (Sunn O)))) e Ben Greenberg (Zs, The Men), “There Is No Year” è il terzo tassello della discografia della band, preceduto dall’eponimo ed eccezionale debutto del 2015 e da “The Underside of Power” di due anni dopo. Questo nuovo disco solidifica il suono dei suoi predecessori aumentandone il pathos e l’adrenalina, così come viene messo subito in chiaro con la canzone che dà il titolo all’album e che ne è anche l’apertura. L’album poi si sviluppa attraverso l’anima soul e modern-gospel della band, in cui si annida l’ormai tipico fervore post-punk con nuove soluzioni, in qualche modo, pop. Brani ganzi del disco, oltre alla già citata title-track, ‘Dispossesion’, ‘Unoccupied’ e ‘Nothing Bloomed’, eccezionale momento epico su uno sfondo Carpenteriano.

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