Dead Ocean
La storia di Bill Fay è commovente. A noi piacciono le storie commoventi e proviamo a raccontarvela in pochissime righe. Fay è uno straordinario cantautore e pianista inglese che realizzò un paio di dischi rispettivamente nel ‘70 e nel ‘71. Dischi già belli, bellissimi, ma che rimasero un po’ sommersi per qualche oscuro motivo. Fay, non proprio un allegrone, ne soffrì non poco fino a quando, nel ’98, tipo mentre tagliava l’erba, ricevette una telefonata con la quale veniva informato della ristampa di quei due lavori. “Qualcuno mi ha ascoltato allora” pensò. Ci rifletté quei quindici anni e, nel 2012, tornò con un nuovo album di inediti intitolato “Life Is People”, acclamatissimo. Nel 2015, un altro disco, “Who Is the Sender?”, altrettanto acclamato. Sempre di culto, ma finalmente qualcuno si era accorto di quanto fosse preziosa la sua tristezza e la sua musica. Oggi è disponibile “Countless Branches”, nuovo album di Fay e disco che segna il momento più prolifico della sua carriera. Il disco, dall’approccio più minimale e istintivo, è una raccolta di gioielli tenuti nascosti da Bill in questi ultimi 40 anni e che l’artista ha adesso deciso di pubblicare. Canzoni che non erano ancora finite, a volte solo delle bozze, che adesso emergono accompagnate da una nuova veste, con melodie e testi rinnovati. Canzoni che toccano, con l’usuale delicatezza e poetica, temi cari all’artista: natura, famiglia e ciclo della vita. Canzoni magnifiche.
Record Kicks
Seppur mai in maniera eclatante, i Calibro 35 hanno tuttavia sempre cambiato qualcosa nei loro lavori. D’altronde, almeno all’inizio, la formula – colonne sonore e polizieschi rivisitati in salsa jazz-funk più qualche inedito qua e là – era quella e non c’era molto spazio per la fantasia. Ma via via c’era sempre quella sfumatura in aggiunta e quei due, tre inediti in più. Fino a quando le rivisitazioni sono quasi scomparse e, con il precedente “Decade”, è stato realizzato una sorta di colto bignami di tutto quello sin qui realizzato. Era quindi il momento perfetto per prendersi un rischio un po’ più grosso e, la creatura nata dagli sforzi di Cavina, Colliva, Gabrielli, Martellotta e Rondanini, non ha certo tenuto il freno a mano. Tanto “Decade” è stato il disco di riepilogo del percorso condiviso in questi dieci anni, quanto “Momentum” è invece il lavoro che anticipa ciò che sarà nei prossimi dieci. Dieci brani come un magma musicale e inclassificabile in cui convivono black music – ne è eccellente testimonianza il primo singolo ‘Stan Lee’ con la partecipazione di Illa J., sì fratello minore del povero J Dilla – cosmic jazz, blaxploitation (ovviamente eh), jazz, synth (tantissimi synth), suoni algidi talvolta rarefatti ed elettronica analogica e vera. “Momentum” è ricco di nuovi spunti e di prime volte – ci sono più brani cantati che in passato – ed è un lavoro che certifica una volta di più l’eccellenza dei Calibro. Aspettiamo di vederli dal vivo – saranno alla Flog il 24 febbraio – per uscire sereni e sorridenti, tirandoci una pacca leggera sulle spalle e commentando con un “che band ragazzi, che band”.
Memphis Industries
Echi prog – spesso accostati alla musica dei Field Music – più concept album, più 19 brani più una certa lunghezza. Sono, questi, tutti elementi che solitamente mi tengono lontano da qualsiasi tipo di ascolto, causa una certa allergia a certi suoni, a certe chitarre, a certe voci. Come sempre, però, ci sono le eccezioni che confermano la regola, come “Making a New World”, il nuovo album della band di Sunderland, ottavo della loro carriera e seguito di “Open Here” di circa tre anni fa. Si tratta di un concept album, la cui tematica è quella delle conseguenze a lungo termine della Prima Guerra Mondiale anche se non strettamente un concept sulla guerra. Si parla di controllo del traffico aereo, di ultrasuoni, Piazza Tienanmen, di operazioni chirurgiche per il cambio di sesso e altro. Le canzoni sono nate da un progetto per l’Imperial War Museum e sono state eseguite per la prima volta nelle loro sedi di Salford e Londra nel gennaio 2019. Dal punto di vista musicale, che in fondo è quasi sempre la cosa che ci interessa di più, “Making a New World” è un lavoro più che mai solido in cui british-pop, prog rock, kraut, post rock – ‘Best Kept Garden’ sembra quasi un déjà vu dei Battles – e cenni new wave si legano magistralmente fra i solchi e le sfumature delle 19 canzoni, alcune di esse solo brevemente accennate in un minuto o poco più. Omogeneo ma al tempo stesso eclettico, “Making a New World” è un lavoro importante e necessario che pone definitivamente i Field Music fra i migliori esponenti del pop britannico contemporaneo e più colto.