palati fini

OKONOMIYAKI 

By Marta Staulo

January 15, 2020

Cambiare lavoro significa riassettare nuove figure nel proprio immaginario. C’è chi le associa a personaggi animati, a supereroi o protagonisti di film. C’è chi ha sempre fame e li associa a piatti, come me. In ogni ufficio troverai una maggioranza di pizzette surgelate, che dove le metti stanno bene, non è stata una loro scelta ma una pura esigenza di mercato che comunque ha funzionato. A queste si affiancano porzioni di anatra piccante, che non ve lo spiego nemmeno.

Poi ci sono le granola, che sono quelle che si vendono come salutari ma che scoprirai essere una grandissima fregatura, picchi glico-isterici senza pari, che alla fine era meglio un barattolo intero di Nutella (Turchia, no problem).

Incontrerai un gran numero di piselli surgelati che si riveleranno Pisellini Primavera Findus e mai Capitani (sigh), al massimo Stecco Ducale Sammontana, perché dietro a un grande uomo c’è sempre una grande donna che si chiede perché.

Ma nella tua carriera spero tu abbia anche la fortuna di imbatterti in altissime pile di croquembouche, presenze trionfanti avvolte in una nuvola di caramello scintillante, a cui ambire forever.

E tu, in mezzo a tutti, per quanto gli altri a tratti ti vedano come una lussureggiante, densissima, nera – e bassa, e largaSacher, ti sentirai sempre un okonomiyaki, frittella giapponese caotica, nata post guerra nucleare, dove ci finisce l’impossibile e puoi metterci sopra – quasi – di tutto.

Ma fritto è profumo di buono e dei cuoricini alla fine dei messaggi infami, e se anche te sai di fritto, io so’ contenta.