Allora insomma capita che un sabato nebbioso, nell’uggia delle festività, alzi il telefono e chiami Giorgio Mancini, così… venti minuti di aneddoti e ilarità.
Lui ha appena finito di lavorare: andrà in scena al Petruzzelli di Bari, mi saluta cordialmente e comincia a raccontarmi di quanto è rimasto legato a Firenze: dal 2003 al 2007 Mancini fu direttore di Maggio Danza, il balletto del Maggio Musicale Fiorentino, firmando coreografie rimaste nell’immaginario, come una personale versione dello Schiaccianoci (di cui fu anche autore dei costumi), Giulietta e Romeo, o Giselle, ou les Willis, lettura drammaturgica, su musica di Adolphe Adam, messa in scena nel 2013 – quando fu richiamato a Firenze dopo le dimissioni di Francesco Ventriglia – con un corpo di ballo ridotto nel numero, dove i protagonisti portavano sul palcoscenico evoluzioni, timori, e paure tutte contemporanee.
Ed erano gli anni delle sorti incerte della compagnia, erano anni in cui Firenze era bella ma non ballava.
Mancini si racconta
Mancini ricorda tutto con passione e immenso affetto: estimatore della danza contemporanea, seppur di formazione classica, da sempre in scena sui palchi più rilevanti d’Italia e del mondo, il coreografo abruzzese è un fiero nato sotto il segno dei Pesci nel giorno che boh, tipo…mi schiarisco la voce per l’imbarazzo, “te lo avevano mai detto che pare…si ecco insomma, pare che porti un po’ di sfortuna…”.
Mancini ride: “Beh, fino ad adesso direi che posso smentire il senso comune”.
Nato il 29 febbraio
Abituato a festeggiare, ogni anno, per ben due giorni, sia il 28 febbraio che il 1 marzo, “do agli amici la doppia possibilità, così alla fine anche i più smemorati non si dimenticano mai di farmi gli auguri”.
Ricorda la faccia incredula di pressoché tutti i dipendenti di uffici pubblici e anagrafe e l’esclamazione di rito: “Lei è la prima persona che conosco che è nata il 29 febbraio”.
In realtà, a giro, ce ne sono molte: tipo il premier socialista spagnolo Pedro Sánchez, o la Maria Sole, dirimpettaia ed eterna confidente di mia nonna, che quand’ero piccolo diceva sempre che contava gli anni come i cani così rimaneva più giovane e non le venivano le rughe. Così Giorgio scherza sui paradossi del tempo e dell’età. Come Firenze in fondo, che sembra crescere con ritmi tutti suoi. Eternamente perfetta, artisticamente immutata, internazionale nelle presenze, terra da cui sono transitati tutti, e che sulla danza potrebbe permettersi uno slancio in più, nuovo.
Finiamo la nostra chiacchierata parlando del lavoro “ammirabile” di Eleonora Abbagnato al Teatro dell’Opera di Roma, di Virgilio Sieni (“un riuscito tentativo di innovazione”), parlando un poco del prima e un poco del domani, in una dimensione che alla fine è eterea, sospesa e molto bella.
La nebbia forse scende, io chiudo la telefonata e penso come sarebbe stato nascere in un giorno che ogni tanto non c’è. Boh. Comunque la Maria Sole. Eh, che tipa quella…