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Joker di Todd Philips

Arthur Fleck (Joaquin Phoenix) scoppia in una risata debordante e malinconica davanti alla psicologa municipale di una Gotham City sconvolta da rivolte di piazza. Arthur è un ragazzo con problemi mentali che per sopravvivere fa il clown. Gotham però fagocita tutto e tutti nella violenza e ti lascia solo, come solo è Arthur quando viene pestato a sangue in un vicolo o nel treno la sera tardi. Un giorno però Arthur si ritrova con una pistola in mano e tutto cambia. Lui che fin da piccolo avrebbe voluto fare il comico per far ridere la gente, lui che veniva soprannominato “Happy” dalla povera madre, diventerà Joker.

Todd Philips dopo “Trafficanti”, che non ha riscontrato il successo da lui sperato, si è chiesto cosa volesse davvero il grande pubblico e si è dato la risposta che un po’ tutti si danno: un cinecomic. Però a differenza degli altri, “Joker” ha una componente che lo rende molto più intrigante, affascinante e interessante: in “Joker” si avverte la presenza costante della polis, della componente sociale.

Sin dalla prima scena nella quale Arthur viene informato dalla psicologa che non potranno più vedersi perché lo stato ha tagliato i fondi e realizza che non potrà più procurarsi le sue medicine. Il sociale è reale nelle sue conseguenze e influenza l’individuo segnandone talvolta il destino.

“Joker” è anche un film che è stato definito pericoloso da alcuni tromboni che lo hanno accusato di armare i malintenzionati, e di essere diseducativo nel fornire una scorciatoia agli emarginati, una sorta di incentivo alla rivolta. Glissando sulla necessità o meno di un film di essere o meno educativo,  in realtà l’universo di Arthur Fleck, dominato dalla tristezza e dall’alienazione (“non sono stato felice un solo minuto della mia fottuta vita”), ci vuole semplicemente raccontare la storia di come si diventa cattivi senza paternalismi.

La bilancia è dentro di noi, ognuno poi ha la sua. Due parole infine sull’interpretazione magistrale di Joaquin Phoenix che si candida all’Oscar dopo il consueto “body torture” a cui tutti i vincitori si sottopongono per assicurarsi l’agognata statuetta, e sulla colonna sonora che va dai Cream a Fred Astaire passando per Sinatra, senza risparmiarsi anche qui la polemica avendo incluso “Rock and roll part 2” di Gary Glitter, ora in carcere per violenza sessuale con aggravante pedofila.

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