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Dallo Yemen a Sollicciano. Storia di Hamdan, un imam in carcere

Imam Sollicciano

foto: Giulio Garosi

di Daniele Pasquini

Hamdan Al Zeqri oggi ha 33 anni, ma ne aveva 18 quando è arrivato in Italia dallo Yemen. Da Sana’a al Meyer, grazie ad un accordo internazionale, per curare la gamba affetta da un’infezione alle ossa. Lasciata la famiglia, gli unici contatti umani sono con il personale medico italiano, di cui non capisce una parola. Poi, durante la degenza, cambia qualcosa: Hamdan è un fedele musulmano e durante le giornate in ospedale apre il Corano e prega. L’uomo con cui condivide la stanza ha sul comodino una Bibbia: si osservano e si sorridono. Poi iniziano ad offrirsi il caffè al distributore automatico, scambiano qualche parola in una lingua che non esiste: è lì che Hamdan capisce che la propria missione di vita sarà fare il mediatore culturale.

Il suo compagno di stanza vive nelle campagne vicino a Vicchio in una Comunità di laici cattolici, “Il Mulino”, con uomini e donne che hanno deciso di vivere all’insegna della condivisione. Propone al ragazzo di andare a vivere con loro, tra le famiglie del Mugello. Lui, musulmano, accetta. Fa fisioterapia e studia l’italiano, alterna visite mediche a progetti per il futuro. Inizia a collaborare come traduttore in ospedale e negli uffici pubblici, per aiutare quanti, arrivati in Italia, si sono trovati persi. Frequenta la Comunità Islamica di Firenze, partecipa alla preghiera nella (non) moschea di Borgo Allegri e la sera torna a Vicchio nella sua nuova casa.

Imam Sollicciano_ foto Giulio Garosi

Il suo italiano si fa sempre più fluente e la cadenza araba si inizia a confondere con la aspirata dei fiorentini. Trova lavoro in un’azienda del settore aerospaziale e continua a fare volontariato come mediatore culturale. L’imam di Firenze Izzedin Elzir si accorge che questo ragazzo yemenita con le stampelle ha della stoffa: studia il Corano, è appassionato, è intelligente. Hamdan allora inizia a seguire i giovani della comunità islamica aiutandoli con la lingua e con lo studio della religione.

La comunità lo nomina referente per il dialogo interreligioso e lui si iscrive poi alla facoltà di Teologia, dove approfondisce il cattolicesimo. Ma sull’Occidente aleggia lo spauracchio del terrorismo: Hamdan collabora con associazioni di volontariato per raccontare l’altro Islam – “quello vero” – che le guerre sante non esistono, che Jihad vuol dire sì lotta, ma lotta interiore, e ricorda sempre che “tradurre è tradire”.

Ma non è semplice da spiegare, e i primi a non capirlo sono alcuni musulmani: le idee dell’ISIS fanno presa sui più poveri, l’estremismo fa proseliti tra gli emarginati, e se l’educazione ha tempi lunghi sono invece brevi quelli della rabbia.

Secondo i dati del Ministero della Giustizia in Toscana i detenuti stranieri sono circa 1800 e almeno la metà provengono da paesi in cui l’Islam è la religione più diffusa: spesso sono giovani che hanno commesso furti, spacciatori, ragazzi coinvolti in risse o trovati senza documenti e senza dimora.

Non sono terroristi, ma rischiano di scontare la pena per poi tornare fuori più emarginati e arrabbiati di prima. Un accordo del 2015 tra Ministero dell’Interno e Unione delle Comunità Islamiche Italiane (UCOII) introduce la figura della guida spirituale islamica per i detenuti: ed è così che Hamdan, che nel 2017 è diventato cittadino italiano, va anche in carcere a Sollicciano.

Ogni venerdì guida la preghiera, parla con chi ha voglia di ascoltare e ascolta chi ha voglia di parlare. Discutono di Islam, ma anche di giustizia, di speranza e di prospettive per il futuro. 

Poi dal carcere torna a lavoro, studia i Vangeli, prega in moschea e infine torna a casa. Hamdan soffre perché gli mancano i parenti e pensa ogni giorno al suo paese distrutto dalla guerra civile. Hamdan sorride e scuote la testa quando gli parlano di vino e di maiale. Quando si parla di identità, Hamdan si fa serio e racconta la sua storia.

foto: Giulio Garosi

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