Ogni tanto ‘sta cosa la dobbiamo ridire: “Firenze sta scomparendo”. Non ci sono più le botteghe, i crostini ai fegatini sanno distrano, non si può più camminare in centro, a caso, senza che qualcuno ti fermi a chiedere “e dove è questo”, “e where is quell’altro”, non c’è più l’elemento autoctono insomma, chissà dove si sarà nascosto, fra portachiavi del David in colori fluo e le gincane di turisti caracollanti nel perimetro golden.
Lo dobbiamo ridire, insomma. Perché già solo dirlo ci fa stare meglio, no? Quando poi arrivano notizie come quella della chiusura di due storiche mesticherie del centro, “Pagni” in Via de’Neri e “Tondo” di Via Nazionale, commerci di lungo corso, saghe familiari, danari e gloria in principio, mestizia e scoramento negli ultimi tempi, allora all’ineluttabilità dell’assalto si unisce anche un poco di commiserazione, una puntina di livore talvolta: “Firenze sta scomparendo”.
Nel mio quartiere, poco fuori dal centro, qualche mese fa una delle botteghe alimentari storiche, di lungo corso, saga familiare, ha cambiato gestione. Udite udite, è stata una coppia di giovani sposi indiani a riprenderne le sorti. Lui, che chiamerò Paul, aveva deciso di prolungare gli orari di apertura, lei, che chiamerò Pina, si affaccendava a preparare lo stesso cibo toscano, fegatini compresi, assimilato durante il periodo di affiancamento ai titolari della precedente gestione. Da qualche settimana si erano pure messi in testa (toh) di dedicare un giorno alla settimana alla loro cucina tipica. Sfiziosi vassoi di pollo tandoori, tikka masala, croccanti samosa. A me pareva una cosa bellissima: vedere certe carampane ottuagenarie tornare verso casa con quel profumo inconfondibile di spezie sulla giacchina in tweed.
Niente: rientrato dalle vacanze ho scoperto che purtroppo, fra l’affitto, le tasse e la diffidenza dei clienti al nuovo, purtroppo Paul e Pina hanno mollato la presa.
E dunque ‘sto multiculturalismo che tanto rimpalla fra bocche e giornali pare conti più vittime che eroi: mentre ci attardiamo a delineare i perimetri di dove “c’è nostro”, e quanto ci garberà rivendicare la sovranità delle cose, le mezzore ad ascoltare i segreti del vero tortello mugellano, ormai sul giglio della vera Firenze ci son più popoli che petali. I campanelli dei portoni sono mappamondi, non so se ci avete fatto caso. Di genuino, di vergine, sembra resti sempre meno.
E magari non avremo cacciaviti, ma possiamo comunque scegliere di cambiare insieme, ridefinire i profili urbani per entrarci tutti, vestiti a modino, e provare a fare una fotografia e dire “cheese”, “käsekuchen”, “whiskey”, “qiézi” (茄子) o come vi pare ma insomma sorridere, ché Firenze non sta scomparendo.
I più alti in ginocchio, mi raccomando. Sennò dalle file dietro non ci si riconosce mai.