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Frastuoni di maggio

THE CINEMATIC ORCHESTRA “To Believe”

Ninja Tune

Ho sempre associato i The Cinematic Orchestra alla lentezza. Un po’ per la loro musica, un po’ per l’intermezzo temporale tra un’uscita e un’altra. “Motion”, il debutto, è del 1999, “Every Day” del 2002 –siamo in tempi discografici umani – “Ma Fleur”, terzo album, è del 2007 e, già qui, avevamo capito che uscivano quando gli pareva. Giustamente. Ma col nuovo “To Believe”, la band principalmente di Jason Swinscoe sempre coadiuvato da Dominic Smith, se l’è presa decisamente comoda. Dodici anni son troppi, anche per il più innamorato degli innamorati. Bastano tuttavia un paio di minuti, il tempo della prima apertura, che dodici anni diventano pochi minuti e ritrovi l’amico di tanto tempo fa. Unici nel dare un senso a un genere, fondamentalmente il downbeat, durato il tempo di un aperitivo – è lì che erano finite le declinazioni più zuccherose del genere, fra lussuose compilation e negroni – i The Cinematic Orchestra se ne tornano con un lavoro incredibile dove trip hop, soul, jazz, archi e fiati convivono nelle sette tracce che lo compongono. Di queste sette, tutte molto buone, ce ne sono almeno (ALMENO) tre clamorose: i nove minuti ipnotici ‘Lessons’, la successiva ‘Wait for Now/Leave the World’ e la conclusiva ‘A Promise’, con glitch nascosti in stile Notwist. Impreziosiscono l’album le collaborazioni di Roots Manuva, Heidi Vogel, Moses Sumney, Tawiah e Grey Reverend.

WEYES BLOOD “Titanic Rising”

Sub Pop

Per la sempre più affollata gran categoria dischi che potrebbero finire sotto traccia, si segnala, e non dovreste farvi sfuggire, il nuovo album di Weyes Blood,“Titanic Rising”. In queste poche righe vi spieghiamo il perché. Composto da dieci brani, il disco è il quarto nella discografia di Weyes Blood, cioè il progetto della cantautrice Natalie Merin, è il primo su Sub Pop ed è il momento di raccogliere quanto sin qui seminato. Se a un primo ascolto, “Titanic Rising” può sembrare un lavoro piuttosto classico – motivo per cui avevamo affrontato alcune difficoltà iniziali – è con una seconda e terza possibilità che il disco cresce in maniera esponenziale. Sì, bisogna un po’ applicarsi, ma ne sarete ripagati. Tra folk mistico, atmosfere eteree, arrangiamenti complessi e stratificati, incontri tra Enya e Bob Seger– dice Natalie – e l’assurdo mondo raccontato già con l’ingegnoso scatto in copertina, “Titanic Rising” è un manifesto di pop moderno sostenuto dalla voce della cantautrice, formidabile nel passare dal falsetto a toni quasi baritonali. Una sorta di canto per parti teatrali o cinematografiche incastrato tra momenti in stile Aimee Mann e un cantautorato assolutamente personale e intenso. Brani consigliati, ‘Everyday’, ‘Something to Believe’, ‘Mirror Forever’ e ‘Movies’. Bravissima.

THE DREAM SYNDICATE “These Times”

Anti

Dalla reunion del 2012 a oggi, The Dream Syndicatesi sono fermati pochissimo a conferma che, questa seconda fase della loro carriera – la prima è tra il 1982 e il 1988 con quattro album – è più concreta e prolifica che mai. Steve Wynn, in solo e con Chris Cacavas, sta suonando moltissimo. Il precedente “How Did I Find Myself Here?” è uscito meno di due anni fa e, recentemente, la band ha partecipato a 3×4, eccellente compilation dedicata al Paisley Underground in cui loro, The Bangles, The Three O’Clock e Rain Parade si coverizzano a vicenda. E se “How Did I Find Myself Here?” aveva stupito per freschezza, voglia di raccontare e mettersi in gioco, il nuovo “These Times”è, se possibile, ancora meglio. Al tipico approccio psych della band, si affiancano qui trame ipnotiche kraut, echi notturni e desertici. E del soul. Dice Wynn che durante le registrazioni non ha fatto altro che ascoltare J Dilla, anche se onestamente può far strano veder associato J Dilla a The Dream Syndicate. La formazione è sempre quella vincente del ritorno ovvero, insieme al titolarissimo Wynn, abbiamo Jason Victor, Mark Walton, Dennis Duck e Chris Cacavas. C’è poi l’asso nella manica, o riserva di lusso per rimaner nel calcistico – tipo Robbiati – con la voce di Stephen McCarthy dei Long Ryders, in molte tracce, e Linda Pitmon (Filthy Friends, Arthur Buck, The Baseball Project). Brano preferito ‘The Whole World is Watching’, che è tipo un Bob Dylan in trip lysergic-krautrock.

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