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What’s the Frequency, Florence?

what's the ferquency

foto: Sara Garuglieri

Ci siamo rincorsi per un bel po’, io e i What’s the Frequency, prima di trovare il momento giusto per incontrarci. Sapevamo che sarebbe successo prima o poi, perché seguivamo le nostre reciproche vicende da tempo. Per questo avevo più o meno chiaro in testa che nella loro idea di musica dovesse esserci un riferimento ai R.E.M., di cui ricordavo la traccia “nascosta” nel nome della band. Per me, però, questo significava semplicemente musica da viaggio in macchina, musica che ti fa alzare il volume di una radio ancora a manopole.

Ho capito presto quanto parziale fosse la mia impressione appena ho ascoltato il loro disco d’esordio, Grey Matter. Ne ho avuto la definitiva conferma chiedendone conto e ragione ai diretti interessati, che mi hanno accolto con due cartoni da 1,5 m di pizza.

Dietro il grottesco episodio alla base dell’espressione inglese (ormai divenuta idiomatica) c’è una critica rivolta alla società dell’immagine e alla dittatura delle televisioni. Abbiamo un continuo bisogno di dati per poter credere, ma alla fine crediamo tutti a quello che non c’è”.

Tra un arpeggio alla Smashing Pumpkins e un riff alla Black Sabbath, conditi da qualche ritmica pearljammiana, i pezzi dei WTF disegnano scenari in cui la materia grigia non è che una sola faccia di una medaglia che, di fatto, è anche il problema del grigio.

I WTF però non appaiono affatto arresi a tutto ciò: sono invece un gruppo che cavalca l’onda lunga dell’entusiasmo dovuto alla buona ricezione del disco (prodotto da Samuele Cangi) e soprattutto guardano al futuro.

 “Abbiamo sentito il bisogno di rinnovarci: le prime novità sono state le aggiunte di synth e tastiere. Questo ha portato alla produzione di un nuovo singolo che ci è valso un mini-tour di tre date a Romacomprensivo di campeggio allagato dopo il concerto – e soprattutto l‘accordo con l’etichetta fiorentina Red Cat Records”. Giovanni, Gibbo, Neri ed Edoardo hanno infatti deciso di cimentarsi con la lingua italiana, “ma sempre mantenendo la nostra identità”.

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