Pitti box, una scatola. In un racconto di un certo Richard Mateson la scatola veniva definita come il concetto su cui si basa l’intera esistenza umana. Viviamo in una scatola, ci spostiamo da questa scatola in altre scatole con un’altra scatola più piccola per poi stenderci, infine, in una scatola di legno. Dentro il padiglione principale di Pitti è stata installata una piccola cabina insonorizzata delle dimensioni di un camerino in cui fermarsi, allontanarsi dal ritmo frenetico che la fortezza subisce in questi quattro giorni – per ben due volte all’anno e per ormai 95 edizioni – e osservare un mondo in sordina che pullula di personaggi eccentrici, ma pur sempre lavoratori.
Esatto, perché Pitti è principalmente questo: una fiera per persone che sceglieranno cosa indosserai, in quale città, in quale momento, a distanza di un anno.
Quella scatola del silenzio era l’unico posto in fiera senza fila, senza foto, senza rumore. Vedere quelle persone rincorrersi, sorridere, fotografarsi, guardarsi, il tutto immerso in un silenzio innaturale mi ha messo una strana calma addosso. E alla fine ho pensato che tutto sommato avere tutto questo in una così piccola città come Firenze è qualcosa che la valorizza.
Quindi, al di là di tutte le considerazioni sui risvoltini dei pantaloni degli uomini, le giacche inamidate e le camicie abbottonate fino al collo, al di là delle scelte degli abiti da parte del versante femminile, esagerato e controverso, c’è molto di più.
C’è il vedere dei posti come Palazzo Pucci, il museo Marino Marini, la chiesa di Santo Stefano al Ponte in delle vesti anche loro “esagerate” ma di una bellezza rara, o ancora meglio il chiostro intero della chiesa di Santa Maria Novella illuminato dalle torce di più di mille persone fisse su decine di anime dagli occhi sbarrati che seguono la loro via, dritta e vestita da opere d’arte.
Chiudersi in quella scatola del silenzio per allontanarsi, è tanto importante quanto l’aprirla di nuovo, immergendosi di nuovo in quel mondo di rumori e lasciando da parte, almeno per qualche momento, i nostri ormai quotidiani biasimi e pregiudizi.