Storie

Lungobisenzio

By Lorenzo Magnolfi

January 22, 2019

Gennaio, il mese più freddo dell’anno. Cammino nell’aria gelida lungo il Bisenzio, il fiume di Prato.

Sulla riva sinistra c’è una pista ciclabile che hanno intitolato a Bartali. Sul lato destro un’altra, dedicata – e non poteva essere altrimenti – a Coppi. Era questo per me un angolo di città sconosciuto, poi, poco per volta, ho iniziato a scoprirne scorci e popolazione, sia umana che animale.

Dopo i giardini del quartiere di Mezzana, dove si ha quasi l’impressione di non essere in città, s’incontra il ponte detto da tutti “Petrino”. Leggenda vuole che a costruirlo fu il generale romano Marco Petreio (110-46 a.C.), vincitore del ribelle Catilina sulle montagne pistoiesi. Un grande pioppo, dal tronco coperto di muschio, se ne sta lì, quasi come una guardia solitaria. Più avanti il fiume curva a destra, l’acqua scorre lenta e in queste gelide notti si è ghiacciata. Certo, niente in confronto alla gelata dell’85, ma tanto basta per vederci camminare sopra una nutria e i gabbiani.

Le nutrie, questi toponi acquatici dalla lunga coda e i denti gialli, a molti fanno schifo, a me stanno abbastanza simpatiche. Diceria popolare vuole che i cinesi le mangino.

Un po’quello che si sentiva per i cigni della vasca alla Fortezza da Basso…

Superato lo stadio, che non poteva chiamarsi altro che “Lungobisenzio”, testimone di glorie sportive mai vissute, ci si para davanti il Bastione delle Forche. Come è facile intuire dal nome, qui sul greto del fiume, venivano giustiziati nel medioevo i condannati a morte.

Dopo i condomini e le casine basse, sulla sinistra le antiche mura, sulla destra le villette Liberty della Pietà, paiono guardarti un po’altezzose. Delle taccole, simili a cornacchie, hanno fatto il nido tra le pietre biancastre, un merlo si nasconde dentro un cespuglio, mentre le anatre si lasciano cullare dalla corrente e un airone bianco aspetta ritto che passi qualche pescetto.

Questi gli animali. E gli uomini?

Anche qui c’è una certa varietà: i vecchi pratesi benvestiti coi bei cappotti, che la domenica mattina se ne tornano a casa col tipico sacchetto blu dei biscotti del Mattei, i ragazzi pakistani o del nord Africa in jeans, piumino e auricolari bianchi, le donne dalla pelle color ambra coperte da veli variopinti e loro, i cinesi, i più schivi di tutti, camminano in silenzio o sfrecciano su biciclette cigolanti.

Non mancano infine tanti esemplari di camminatori e corridori solitari di ogni età. Scarpe e tutine fluorescenti che ti vedrebbero da 2 km di distanza.

E uno pensa a quando negli anni ’80 il Bisenzio era diventato lo scarico a cielo aperto delle industrie tessili e l’acqua si tingeva ogni giorno di un colore diverso. Prato in questi ultimi anni tenta di resistere e rinascere; il suo fiume forse un po’ce l’ha già fatta.