Site icon Lungarno

La storia è una malattia

Come scriveva Nietzsche, la storia è anche una malattia e a quanto sembrerebbe, in Italia è esplosa una vera e propria epidemia virale.

Il virus, l’orribile contagio, è degenerato nel tempo sotto uno strato di parassitica incuria. Colpa nostra. A seguito della convalescenza nazi-fascista avremmo dovuto prendere le giuste precauzioni, che so, fare una cura d’integratori anti-razzismo per anticipare un’eventuale ricaduta e invece, anziché assicurarci di aver sviluppato gli anticorpi che avrebbero dovuto proteggerci, siamo usciti di casa tutti sbottonati, convinti che i vecchi malanni non avrebbero più potuto far ritorno.Ci siamo ammalati di nuovo, e non abbiamo dovuto aspettare troppo tempo prima che i sintomi pre influenzali, quest’intolleranza silenziosa, tornasse a farsi viva con i primi colpi di tosse. La pestilenza ha poi smesso di essere asintomatica e oramai, dar voce ad un’opinione tirannica non fa più così paura.

La nostra disattenzione, la ricaduta, è peggiorata per di più a causa di una cura totalmente sbagliata, un’eccessiva mistificazione del passato in una realtà spoglia di significati perché le vicende precedenti, quelle che avrebbero dovuto aiutarci a capire il presente, sono oggi figlie orfane di una storia raccontata soltanto attraverso aneddoti mainstream, che staccati dallo spirito che li ha generati, significano poco e niente nella nostra contemporaneità.

Avremmo dovuto imparare a proteggerci dalla storia. L’abbiamo sottovalutata pensando che sarebbe stato anacronistico fare confronti, ma evitare di paragonare il passato al presente significa evitare di riconoscere le somiglianze che nel tempo si ripetono, significa negare lo spirito che ha generato un’ideologia e lo spirito, la mano nera che frena l’evoluzione e l’elevazione, non si lascia trasformare dal tempo. L’odio non cambia.

Per fermare il contagio non è quindi essenziale ricordarci quanti morti ha fatto Auschwitz rispetto Birkenau o se Anna Frank era o no ebrea. Se la cultura, le informazioni che conosciamo non hanno effetto nel presente che viviamo allora la storia è inutile: il passato serve se è in grado di creare uno spessore nel presente. Se accettiamo d’interpretare l’odio con pochezza e disattenzione, credendo che quello che sta accadendo oggi non ha niente a che fare con l’Italia di settant’anni fa, allora siamo un popolo impoverito, un’Italietta che usufruisce dei propri strumenti culturali soltanto per pavoneggiarsi di un qualche interesse intellettualistico.

La memoria ci ricorda che nel presente c’è ancora da tentare di essere umani. Il resto non ci riguarda.

Exit mobile version