La prima volta che vidi Schindler’s List era un’umida serata invernale. I vetri del salotto erano completamente appannati, io e miei genitori eravamo sotto le coperte di un divano blu. Il film scosse un po’ tutti quanti ma nessuno se ne rese bene conto fino al giorno dopo, quando ci ritrovammo di nuovo a fare colazione insieme.
Mangiare è impossibile quando sullo stomaco si ha già qualcosa che non si sa bene cos’è, e dopo l’ennesimo boccone trangugiato, mia madre bevve un lungo sorso di latte, si alzò in piedi e senza dire niente prese un secchio di vernice nera dallo studio. Quando tornò in sala camminava a passi stretti verso la porta, mentre il peso del contenitore ciondolava nervoso da destra e sinistra. Con un tonfo lo lasciò per terra, poi prese una sedia e sempre a passettini trascinò anche quella fino alla porta. Aveva gli occhi fermi come in una posa e sulle guance del viso erano scavati due solchi tesi e profondi, un letto di rughe straripo di concentrazione. Aprì il barattolo di vernice e lasciò cadere il pennello dentro quel nero profondo, sembrava la gamba secca di un esploratore dentro le sabbie mobili.
Poi salì sulla sedia, si piegò, tese la mano al pennello e dopo averlo salvato iniziò a dipingere.
“Dai, cosa fai!” dissi io, che da piccola ero ancora avvolta nelle mie rigide imposizioni.
“Sta zitta.” rispose lei nervosa. Non sopportava l’idea che fossi vincolata a quelle stupide prerogative.
Passarono dieci minuti, il nero delle sabbie mobili era gocciolato un po’ ovunque ma né lei né mio padre sembrarono preoccuparsene. A casa mia funzionava così: se avevi un’idea, nessuno ti vietava di aprire i pavimenti, attaccare quadri al soffitto o dare fuoco ai mobili. Ognuno poteva fare quello che voleva, a patto che avesse un senso.
Mia madre finì di dipingere. Sull’entrata della porta di casa c’era scritto: “Chiunque salva una vita salva il mondo intero”.
“Perché non l’hai scritto di fuori?” chiese mio padre.
“Non lo devono vedere gli altri”, disse lei con ancora il pennello in mano “dobbiamo ricordarcelo noi tutte le volte che usciamo di casa.”