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Se questo è un prete: Don Massimo Biancalani

Pistoia, visita ad un centrio ricreativo ecclesiastico per rifugiati gestito da Don Massimo Biancalani, 2018-11-07, ©Giulio Garosi

Nota dell’autore:

Di questi tempi non so se pure voi qualche volta vi svegliate in piena notte per la paura, se pensate mai a “The Truman Show” o a “V per Vendetta”, non so se, al supermercato, per qualcuno che salta la fila, un furbetto o solo un distratto, avete sentito calare un’aria torva e apocalittici nervosismi, scriteriata violenza e urli muti. Di questi tempi. Comunque, quando si è parlato di scrivere un pezzo su Don Biancalani, ho alzato la mano in fretta: sarà questo bisogno che ho di trovare degli Esempi, la necessità di individuare delle guide, dei testimoni, questa fretta di dover prendere una posizione.

Perché mentre l’umanità sta tornando nelle caverne, intanto che ogni giorno qualcuno manifesta, chiede un parere, implora di schierarsi, di restare di guardia, io non mi sento né carne né pesce e sto lì a pensare se allora è meglio essere carne o essere pesce, perché prima del giudizio universale, sicuramente arriverà l’ora di cena. Qualcuno mi mangerà, già lo so: ho il dovere di essere esistito in qualche forma, prima della vostra fame.

 

Una storia:

Mi sono chiesto cosa vorreste sapere, dell’intera vicenda, o cosa mai posso dirvi io che non abbiate già letto su tutte le testate locali e nazionali, in tv e sui social network. Dovrei raccontarvi, dunque, che nel 2016 fu aperto un Cas (Centro di Accoglienza Straordinario) nella parrocchia di Santa Maria Maggiore di Vicofaro e Ramini, hardcore provincia pistoiese, il cui referente è, per l’appunto, Don Biancalani.

Dovrei scrivere che questo luogo nasce con un’agenda di iniziative sociali stimolanti, la “Pizzeria del rifugiato” (margherite e calzoni in salsa afro), una squadra di calcio, l’orto biologico che potesse dare lavoro a diverse giovani braccia in attesa di uno status; dovrei dirvi delle intimidazioni xenofobe subite in questi due anni, anonime e non, o della petizione di 190 firmatari, residenti del quartiere limitrofo alla parrocchia, che si appella al “decoro, alla sicurezza e all’ordine pubblico”.

Dovrei però anche raccontare delle irregolarità riscontrate nel centro, legate alla presenza di persone estranee al progetto, o su alcune violazioni all’obbligo di presentazione della dichiarazione di ospitalità. Potrei perfino spingermi a parlare di varie segnalazioni contro stranieri invischiati in faccende di spaccio, o sul tafferuglio finito a cazzotti e minacce una notte di qualche mese fa.

Potrei scrivere dell’atteggiamento tiepido della Curia locale, che caldeggia uno stoico e silenzioso ritorno nell’ombra, dei molti fedeli i cui posti in chiesa sono andati svuotandosi, del sorprendente aiuto arrivato al parroco da parte di professionisti laici, medici, avvocati o imprenditori, sotto forma di volontariato.

Dovrei raccontare poi della guerriglia social, successiva ad un post dell’agosto 2017, che ritraeva alcuni migranti mentre fanno il bagno in piscina, fra Don Biancalani e il Ministro dell’Interno Matteo Salvini.

Quest’ultimo augurava ai giovani “buon bagnetto”, e parlava di “tempi duri per il prete che ama circondarsi di clandestini africani”.

Don Biancalani, oggi, lo querela per diffamazione aggravata a mezzo stampa, calunnia e omissione in atti d’ufficio. Nel mezzo a ciò, dopo un controllo dei Vigili del Fuoco alla struttura di Vicofaro, le Autorità ne hanno disposto la chiusura “fino a quando la cucina e il locale caldaia non saranno adeguati alle norme di sicurezza”, c’è stato un ricorso al Tar e qualcosa sta cambiando. Questo, per sommi capi e senza inutili divagazioni, è il cosiddetto “Caso Biancalani”.

 

Ma…:

Il pomeriggio che incontriamo Don Biancalani piove molto, ed è umido.

Ci accoglie sotto il tendone del gazebo davanti alla canonica: nessuno si toglie il giubbotto. Parla lentamente, è affaticato: cita Paolo VI, “la politica come forma più alta di carità”, accenna qualcosa sulla madre sofferente, e su una riunione di docenti nella scuola superiore in cui insegna.

Sospira, si scusa per i ritardi e gli affanni.

Spaiate e disperse, vicino a noi, delle sagome esaurite: un ragazzo africano, scalzo, si fa la barba seduto davanti allo specchio, un uomo di mezza età presenta la nipote, occhi bassi e i capelli legati, e chiede se per caso le si potesse trovare un lavoro, “come badante andrebbe bene”, dice, “è una figliola in gamba e tanto onesta”. Un giovane con evidenti disturbi psichici parla da solo in una lingua che non so riconoscere e fa rimbalzare rumorosamente la palla per terra.

Dignità sbrigative, urgenze, bestiari.

E poi biciclette arrugginite, stendardi della pace, piumini sintetici, dietro ai sospiri di Don Biancalani, che srotola fiacco la sua verità, un po’ a casaccio, la butta lì come i materassi che stanno nell’atrio della chiesa, quella dove, come cantava Carmen Consoli in una tristissima canzone di un tristissimo album di qualche anno fa, Cristo in croce sembrava più infastidito dalle infamie che dai chiodi”.

Se credergli o no, pensateci alla svelta: a volte abbiamo una scelta sola, travestita da molte.

 

foto di Giulio Garosi

 

 

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