Una mattina per le strade del centro. Piove, è lunedì. Un giorno d’ottobre in cui sembra che davvero l’autunno sia arrivato. Eppure, fino a poco fa, c’era il sole. Ho da incontrare due amiche e la prima l’aspetterò sotto il loggiato dell’Ospedale degl’Innocenti. Firenze, penso, è bella anche quando piove. Anche se può sembrare sporca o decadente, come il volto di una signora di mezza età su cui si è sciolto il trucco per troppe lacrime versate. Firenze è diversa e magnifica, dorata e splendente, brutta o abbruttita. Da chi? Da cosa?
Basta salire pochi gradini, gli stessi che una volta facevano le madri vergognose per lasciare i bambini nella “ruota”, e la visuale sulla piazza cambia.
Sapete che contare queste api di bronzo era un tipico passatempo dei fiorentini di un tempo? Disposte a cerchi concentrici, ingannano lo sguardo ed è facile sbagliarsi. Per questo si dice che se uno riesce a contarle senza indicarle o toccarle, gli porti fortuna.
Quanto a me, seduto per terra sotto le volte, per passare il tempo guardo chi ho intorno: studenti e turisti. C’è anche una signora che fa qualcosa di strano. All’inizio non ci faccio caso, poi me ne accorgo. Con una maglietta e scarpe da ginnastica grigie, che sembrano troppo grandi per un corpo così piccolo, fa avanti e indietro camminando veloce da un’estremità all’altra del loggiato. Ha pensato bene di usare il riparo come un percorso coperto per non interrompere il suo allenamento. Il genio.
Poi all’improvviso eccola. Dall’angolo di via Capponi spunta lei, E.
Quattro mesi che non ci vediamo.
E i grigi di questa giornata si colorano nel calore di un abbraccio.