C’è chi si è fatto un selfie tra gli stand di “Libri e Fiori” e chi ha rinominato la piazza “Cimitero delle Pulci” (cercare su Maps per credere); chi si è sentito tradito e chi rincuorato. Il nuovo spazio in Piazza dei Ciompi ha suscitato un grande dibattito in città, protrattosi per mesi e svoltosi su ogni piattaforma esistente.
Prima di farsi una propria opinione è sempre cosa buona e giusta ascoltare tutte le campane – a Firenze ne trovate parecchie, tranquilli – perché se la polemica gratuita è sempre in primo piano, ascoltare chi la piazza l’ha vissuta, studiata, valutata e progettata può fare la differenza.
Siamo onesti, per noi miseri utilizzatori finali il primo pensiero formulato alla vista delle foto inaugurali del 7 settembre è stato un sincero “AH.”.
Chi ha gestito per anni una bancarella dell’ormai ex-mercato delle pulci, probabilmente ha sussurrato qualcosa di peggio.
Si leggono molti pareri positivi da parte di chi temeva uno stravolgimento della realtà cittadina, con strutture magari di grande impatto visivo che poco però avrebbero avuto a che fare con la fiorentinità della piazza.
Secondo l’Ordine degli Architetti invece è “difficile pensare che oggi un turista scelga di visitare una delle due piazze [piazza del Carmine, n.d.r.] appena ripristinate se non per i manufatti storici e monumentali che ospitano. Questo non significa pretendere architetture sensazionalistiche, ma progetti misurati che escano dalla banalità. In Europa si assiste a processi ben diversi di partecipazione e realizzazione, con il ricorso a bandi di gara che consentono di calibrare consapevolmente le scelte dell’amministrazione su obiettivi di qualità e budget, basti pensare, nella vicina Francia, ai recenti interventi realizzati per place de la Nation e place d’Italie a Parigi”.
Bene, a fronte di tutto questo una cosa intellettualmente onesta da ribadire è che sono pochi quelli che conoscono la storia della piazza e di quello che è stato detto e scritto negli ultimi anni. Si è parlato di amianto, di concessionari di licenze, di progetti partecipativi, di ritorno della cultura, di sporcizia, di degrado, di storia e di promesse.
Quello che si vede è una piazza austera e signorile, l’erba a tratti è incolta ma nel complesso non sfora dalle aiuole; si vede un albero, una fiera di libri e fiori ogni terzo sabato del mese (per un totale di quattro appuntamenti), una recinzione in ferro battuto, dei cestini per l’immondizia, si vedono delle panchine.
Quello che non si vede è perché non c’è più, ma alla fine qualcuno diceva che “l’essenziale è invisibile agli occhi”.