Così a un certo punto Gherardo mi chiede: “Qual è il tuo cibo preferito?”. Stavamo in fila, da McDonald, e io manco dovrei portarcelo un ragazzo di 12 anni, nel pieno dello sviluppo, a mangiare cheeseburger e nuggets di pollo fritti, però lui mi implorava, mentre guidavo verso casa, che la professoressa gli ha messo pure un brutto voto a matematica e lui diceva che non devo dire nulla alla madre, “un segreto è un segreto!”. Lo guardavo dallo specchietto retrovisore, lui ha la r blesa e quando dice segreto suona molto buffo, così mi sono messo a ridere e poi ho pensato che la radice quadrata, a stomaco vuoto, non si può di certo capirla.
Così stavamo in fila, la ragazza sudamericana al banco mi ha chiesto: “suo figlio vuole qualcosa da bere?”. Gherardo ha risposto che non è mio figlio, e io mi sono chiesto come sarebbe avere un figlio adolescente, pieno di tatuaggi e piercing e coi pantaloni arricciati, lei ha sorriso e ha detto “escusa signore”, ma nel frattempo Gherardo si era già seduto e in un attimo, così, nella desolazione di un pomeriggio piovoso di marzo, con una canzone rap in sottofondo, mi ha spiegato il problema: “Io ho sonno. E studiare mi fa schifo.”
“Come inizio non c’è male”, rispondo.
“Non me l’hai detto.”
“Che cosa?”
“Qual è il tuo cibo preferito.”
Così ci penso, e più lo faccio, meno trovo idee.
“Spaghetti? Pollo fritto? Cioccolata? Bistecca? Eh, eh?”
Niente: passo in rassegna una serie di ricordi, di momenti, le cose che c’erano nel piatto, quei giorni, i colori, e forse potrei dire che… ma anche…
“Come si fa a non sapere qual è il proprio cibo preferito?” mi domanda.
“E come si fa ad aver preso tre meno di fila, in una settimana, sulla radice quadrata?”
“Uffa.” Dice
“Uffa.” Dico.
E poi ci siamo messi a contare le ciambelle nella vetrinetta dei dolci, e lui ha inventato una storia – dice che una volta ne ha mangiate otto da solo, in vacanza, e poi faceva i versi e ridevamo un sacco e aveva le mani unte e beveva coca-cola.
I tortellini panna e prosciutto. Forse.