La libreria Black Spring si trova nel cuore di San Frediano, a due passi da piazza Tasso. Quello che desta subito l’attenzione è lo stampo originale dell’ambiente: tavolini di misure diverse si divincolano dagli scaffali per occupare gran parte del pavimento fino al fondo della sala dove un’ampia selezione di libri illustrati la fa da padrona. Disegni di varia natura, stampe, mappe abbelliscono le pareti dando alla libreria l’immagine esatta che essa stessa vuole avere, quella di un luogo dedito alla contro-cultura e all’originalità.
Dopo due chiacchiere con Margherita, la ragazza che mi ha consigliato il libro di cui parlerò tra poco, quello che all’impatto iniziale sembrava un sospetto, è diventato certezza: la libreria, infatti, per una scelta consapevole, si distanzia dalle proposte classiche di narrativa per trovare un canale alternativo di informazione.
Ed è proprio questo il concetto a cui si rifà per consigliarmi “Abitare illegale: etnografia del vivere ai margini in Occidente” (Milieu edizioni) dell’antropologo Andrea Staid. Ho avuto l’opportunità sia di leggerlo sia di partecipare alla presentazione tenuta dall’autore stesso proprio nei locali della Black Spring, che per l’occasione si sono sovraffollati. Abbarbicato su una poltrona all’ingresso del locale, da un punto di vista marginale, come piace a me, ho ascoltato le parole dell’antropologo che ha fatto scorrere velocemente un’ora e mezza, raccontando passi del libro e, sebbene abbia lasciato poco tempo ad un dibattito vero e proprio, incuriosendo tutti i presenti che hanno assistito in totale silenzio. C’erano persone di tutte le età e di “ideali differenti”, forse contrastanti, persone che hanno trovato in qualsiasi angolo libero della libreria un proprio spazio semi-vitale per farsi un’idea su cosa significhi “abitare illegale”.
Il libro ha un’impostazione semplice, quasi saggistica, e propone uno spaccato dei modi di vivere che si distanziano dall’impostazione standard e universalmente accettata per cui la casa è una merce, spaziando nelle descrizioni della classica occupazione e dei campi rom e sinti fino ad arrivare all’autocostruzione, agli eco villaggi e agli slum urbani. La lettura è scorrevole, fotografie di costruzioni e di volantini e striscioni si alternano alla scrittura creando un ritmo sostenuto e piacevole.
Con una scrittura quasi aneddotica, Andrea Staid ci fa conoscere delle realtà esistenti tutt’oggi e per niente lontane (basti pensare che un pittoresco “Popolo degli elfi” è presente a due passi, sulle montagne pistoiesi), sostenendo la possibilità e anzi il sostegno per la loro sopravvivenza.
Nonostante nel libro vengano proposte delle soluzioni forse estremiste e difficilmente condivisibili da tutti e venga lasciato, a mio avviso, troppo spazio all’argomento delle occupazioni, appare affascinante il concetto di fondo per cui bisognerebbe considerare la casa non più un possesso necessario (come sta già accadendo per automobili e biciclette grazie allo sharing) e con essa anche l’idea della condivisione che sembra mancare a una gran parte del mondo.
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