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Fare musica è come vestire un abisso: intervista a Verdiana Raw

In attesa di vederla dal vivo questo venerdì sul palco del Glue, abbiamo deciso di conoscere meglio una delle cantautrici più creative e singolari della scena musicale nostrana: Verdiana Raw. Ascoltando i suoi dischi (Metaxy del 2012 e Whales Know the Route del 2015) ci siamo resi conto di trovarci di fronte ad un’artista vera, capace di rivendicare il proprio lato oscuro con orgoglio, coraggio e grande forza interiore, invece di nasconderlo. Abbiamo provato a scardinare la porta che conduce al centro del suo affascinante universo e le siamo davvero grati per averci accolto con così tanto calore e sincerità.

 

C’è molta ricerca spirituale nella tua musica, un aspetto che il mondo occidentale sta trascurando a favore di interessi più effimeri. La tua arte è puro istinto o una reazione consapevole a questa tendenza?

“Spirituale” per me significa non credere solo a ciò che si vede o a ciò che alcuni schemi mentali ci suggeriscono. Avendo affrontato il tema della malattia di mia madre e quindi della mortalità e caducità di ogni certezza materiale sin da piccola, mi sono dovuta rivolgere da subito a qualcosa di più profondo e viscerale. Fare musica è come vestire un abisso, è quello che mi ha permesso di entrare in contatto con il mio inferno e il mio paradiso senza farmi male per davvero, purificandomi e dandomi un’intuizione di senso. Non per questo escludo dall’arte il quotidiano, per me ogni cosa che faccio è preghiera. 

 

Come ti approcci al mondo quando scrivi le tue canzoni? Cerchi un contatto o preferisci tenere tutto a distanza per scavare più in profondità dentro te stessa?

Mi ritrovo molto nella frase cristica “essere nel mondo, ma non del mondo”, il solo fatto di essere una persona “nel mondo” mi mette in contatto con gli altri, la natura e le stelle. Anche se ti isoli per scavare in profondità dentro te, in realtà stai trattando tutto ciò che c’è fuori, sei comunque sensibile alla sofferenza che ti circonda, così come alla gioia e alle domande. Potrei stare chiusa in casa per sei mesi a scrivere riuscendo comunque a toccare dei temi che riguardano tutti.

 

Sei sempre stata artisticamente molto attiva anche a livello extra-musicale, dal teatro fino al lavoro per il Museo Art Brut Firenze. La tua musica potrebbe fare a meno di queste esperienze?

No, trovo limitante la concezione di “musicista” che fa solo dischi e concerti e mi nutro di tutte queste esperienze perché sono anche corpo, parola e linguaggio. Ho frequentato molto di più artisti di altri settori rispetto a musicisti e cerco di mettere dentro le canzoni quello che mi hanno dato altri tipi di arte.

 

C’è una canzone del tuo repertorio che preferisci e perché?

Quella che mi spinge più verso le lacrime è Whales Know the Route perché c’è dentro tanto di me e della mia malinconia. L’ho scritta nel periodo in cui aspettavo mio figlio ed è un modo per dirgli che farò di tutto per essere una brava mamma anche se so di essere una persona con tanti lati oscuri, non vorrei mai che la sofferenza che mi porto dietro finisca per oscurare la sua luce.

 

Recentemente ti sei esibita negli Stati Uniti al SXSW di Austin: cosa ti ha arricchito maggiormente di questa esperienza?

Il rapporto con la mia compagna di viaggio e violista Erika Giansanti, che oltre ad essere una musicista incredibile, mi ha supportato tanto in questa avventura molto difficile. Ho lottato contro tutto e tutti per essere là e il fatto di esserci riuscita con le mie forze è stato come rinnovare il patto di libertà che ho fatto con me stessa quando ho deciso di fare musica.

 

di Alberto Mariotti

 

 

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