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FRANTZ

Germania 1919.

Anna, il cui promesso sposo Frantz è morto sotto le armi in Francia, è andata a vivere presso i genitori di lui, recando loro conforto in un momento di dolore.

La vita sta molto lentamente tornando a una malinconica normalità quando in città arriva Adrien, un misterioso musicista francese che racconta ad Anna e alla famiglia di Franz di aver stretto un profondo legame di amicizia col loro ragazzo durante un soggiorno a Parigi.

François Ozon sceglie per Frantz – che presentato in concorso alla 73esima Mostra del Cinema di Venezia ha valso alla protagonista Paula Beer il premio Marcello Mastroianni – di affidare il susseguirsi di emozioni e stati d’animo dei personaggi ad un uso molto attento dell’alternanza fra il bianco e nero e il colore.

Un film in cui il regista francese (Otto donne e un mistero, Angel, Giovane e Bella) tenta con un buon risultato la titanica impresa di realizzare un’opera filmica che ricordi nella sua narrazione, il più possibile, quella di un grande romanzo nel quale lo spettatore\lettore possa osservare da un punto di vista privilegiato la vita dei personaggi, cogliendone talvolta sfumature talmente impercettibili da essere quasi sfuggenti.

Senza dimenticare il sentimentalismo e la sensualità, fili conduttori della cinematografia di Ozon, Frantz è soprattutto una riflessione sul senso di colpa: quello di Adrien che non è stato sincero con la famiglia di Frantz, quello di Anna che vede il ricordo dell’amato vacillare dopo il suo incontro con giovane francese e la colpa di una intera generazione di padri che hanno spinto i figli ad arruolarsi per poi non rivederli più.

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