Era inevitabile: l’odore delle mandorle amare gli ricordava sempre il destino degli amori contrastati.
“L’amore ai tempi del colera”
Gabriel Garcia Márquez
Toglietevi anche dalla testa le Camille, quelle cupoline alcoliche giusto un livello sotto la Fiesta, che stanno alle carote quanto me al matrimonio, ma che quando il nutrirsi in modo consapevole non apparteneva a questo mondo e le nostre mamme non conoscevano l’esistenza del glutine e del saccarosio, per un primitivo tentativo di green-washing, a soli 8 anni mangiarne una riusciva a farci sentire fighissime e a dieta, nonostante grondassero di olio di palma.
E dimenticate anche i coniglietti bianchi che già vi saltellano nella mente, questa è una torta di carote cignala, granulosa e persistente, con il burro e tanto mascarpone, e dal profumo che vi resta sulle dita tutto il giorno.
Conosco persone che detestano la cannella. Io detesto il prezzemolo perché non mi porta con la testa da nessuna parte, mentre la cannella ha un potere evocativo incontrollabile. Sarà perché ha più profumo che gusto e quindi attiva il ricordo più di ogni altro alimento. Sarà perché è culturalmente trasversale: è indiana ma allo stesso tempo araba ed ottomana, quindi inevitabilmente scandinava e mitteleuropea. E tutto ciò basta per premere play ad un susseguirsi di immagini calde: il riso al latte di mia nonna, i confetti cannellini (nei quali Giacomo Leopardi si dice abbia trovato la morte, uno che di ricordi ne sapeva qualcosa) chiamati così per la forma simile agli omonimi legumi, le zeppole cotte sulla stufa a legna nella teglia di coccio forata, le merende a piantare alberi in Islanda, i forni crucchi del mio Erasmus ma anche solo il bar dove spendi le ultime monete che ti restano in tasca all’Ikea.
Ripensandoci però, forse è la torta giusta con cui trovar marito, perché solo un uomo capace di apprezzare una torta fatta di ortaggi, spezie termogeniche e frutta secca, credo meriterebbe la mia mano. Un test che vale quasi più che dormirci insieme per vedere se russa.
D’altronde ricordo che quando mia zia portò a casa il suo primo fidanzato, io gelosa marcia nel sapere che avrebbe voluto bene più a lui che a me, in risposta alla domanda se approvassi o meno la sua scelta d’amore, lo definii uno “scarotato”, dove la S privativa, che in effetti indicava davvero l’essere “estraniato dal suo contesto a fini analitici”, andava per me a significare la sua poca affinità con le carote. Quindi, se come me volete mettere alla prova il vostro prescelto per testarne brio e sregolatezza, iniziate ad accendere il forno a 180° e ad imburrare e foderare la teglia.
Vi consiglio di grattugiare le carote e di non frullarle perché, più che con una Camilla, vi troverete con un omogeneizzato Plasmon, e non mi sembrano maturi i tempi.
A questo punto potete dividere gli ingredienti in due categorie, umidi e secchi, ed unirli in due ciotole diverse, ed in seguito amalgamarli pian piano. Fine dei giochi e quasi un’ora di cottura.
Dopo che la vostra torta si sarà raffreddata, potrete dividerla in tre strati e farcirla e rivestirla di mascarpone dolce al profumo di vaniglia.
Tagliatene ora una fetta e chiedetegli di chiudere gli occhi. Se lui riuscisse nell’impresa di riconoscere tutte le spezie, allora è vero amore.
per l’impasto – 4 uova, 60ml olio d’arachidi, 120g burro fuso, 280g farina 00, 300g zucchero di canna, 380g carote grattugiate, 50g mandorle tritate, 1 pizzico di sale, 2 cucchiaini di essenza di vaniglia, 1 bustina di lievito, 1 cucchiaio di cannella, 1 pizzico di chiodi di garofano, 1 pizzico di noce moscata.
per la crema – 500g mascarpone, 250g formaggio spalmabile, 125g zucchero a velo, essenza di vaniglia.