Scrivo questo articolo sul mio (o presunto tale) MacBook 13″ che, acquistato nel gennaio 2009, compie il suo settimo anno di vita. Un computer? Sette anni? Come è possibile? La risposta è semplice: l’ho ripetutamente aperto, rimuovendo i sigilli di sicurezza e sostituendone le parti rotte o obsolete.
Guiyu, provincia di Guangdong, sud della Cina, più di 150.000 persone lavorano in colossali discariche a cielo aperto di rifiuti elettronici (e-waste), importati dall’Europa in larga parte illegalmente. Nella sostanza la situazione non cambia se spostiamo l’occhio su Accra, Lagos, Karachi, Delhi, stesse montagne di PCB (Printed Circuit Board) nelle quali persone scavano in cerca di rame, ferro ed altri materiali riutilizzabili. Ad oggi le soluzioni per lo smaltimento di questi rifiuti sono l’interramento, l’incenerimento ed il riciclo dei materiali; il riuso, in scarsa parte praticato, viene inteso come una forma di carità verso i paesi del cosiddetto terzo mondo.
Ma qualcosa sta cambiando nel mondo occidentale. Negli States la coalizione di riparatori repair.org, che vede tra i suoi membri realtà consolidate del calibro di iFixit, EFF, PC Rebuilders & Recyclers, Public Knowledge ed altri gruppi più piccoli, sta combattendo per l’abrogazione a livello federale della sezione 1201 del DMCA (Digital Millennium Copyright Act) che, per farla breve, afferma l’illegalità dell’aggiramento di una misura tecnologica impedente l’accesso ad un’opera protetta. Questa controversa legge americana, creata negli anni ’90 per impedire la copia delle videocassette VCR, è l’arma impugnata dalle corporate in ogni caso legale che implichi un qualsiasi tipo di hackeraggio di un prodotto da parte di singoli utenti. Il DMCA insieme agli EULA (End User License Agreement), sì proprio quei contratti dove clickiamo “Accetto” senza leggere, sono le barriere che ci separano dalla proprietà degli oggetti tecnologici che, avendo acquistato, siamo convinti di possedere. La realtà è ben diversa: abbiamo semplicemente ottenuto un accesso. Mister Jalopy, autore del “maker’s bill of rights”, afferma: “If you can’t open it, you don’t own it“; questo è un concetto che, se si vuole guardare al di là della semplice pornografia da robot in stile Futurama tipica dei soggetti da Maker Faire, porta con se implicazioni ben più ampie soprattutto a livello economico e ambientale. Molto spesso i motivi per cui buttiamo via una device elettronica sono l’ignoranza e lo scoraggiamento che accompagnano pensieri del tipo: “la batteria del telefono è andata, faccio prima a ricomprarlo nuovo che a cambiarla”. Contro questa cultura della disillusione stanno combattendo in primo luogo i rappresentanti di repair.org; se cambia la mentalità possiamo riattivare l’economia di scala dei piccoli riparatori locali, decentrare il sapere proprietario delle corporate e, magari, imparando ad apprezzare le qualità di ciò che riteniamo tecnologicamente obsoleto, sprecare meno avendo un migliore impatto ambientale.
Passando ad una visione più locale, a Firenze da più di un anno è attiva un’associazione di riparatori composta da circa una ventina di membri, con background che spaziano dal perito tecnico al pilota di aerei militari. Riprendendo il format da The Restart Project (UK), questa associazione organizza eventi itineranti di riparazione oggetti aperti a tutti. In questi eventi, chiamati Restart Party, è possibile per i partecipanti portare i propri oggetti ed imparare a ripararli con l’assistenza di figure di tutoraggio che forniscono sapere e strumenti, i Restarter appunto. Il fine del tutto non è la creazione di un servizio professionale gratuito per fare concorrenza ad i riparatori di telefoni bengalesi, bensì l’apprendimento. Forse non tanto l’apprendimento delle conoscenze tecniche necessarie alla riparazione di un artefatto tecnologico ma, perlopiù, la comprensione che talvolta basti veramente poco per riparare alcuni oggetti. Ad i Restart Party è possibile portare qualsiasi tipo di oggetto che si voglia raccomodare, è sempre una nuova sfida. Alla fine si viene premiati con un selfie accanto ad un cartello con disegnato un fumetto che reca la scritta: “questo l’ho riparato io!”; così torna a casa felici e magari, con l’oggetto riparato. I rischi ci sono: asciugacapelli che lanciano fiamme, la luce che salta, ma tutto sommato niente di troppo grave.
Per gli interessati il prossimo Restart Party avrà luogo sabato 5 marzo dalle ore 15 alle 18 presso la Misericordia di Compiobbi, sarà un’ottima occasione per donare nuovamente vita a oggetti vecchi e nuovi, conoscere un po’ di gente nuova e, perché no, divertirsi anche rompendo qualche tabù per vedere cosa c’è dentro alle cose. Partecipare, questo è lo spirito giusto, ci si diverte ed intanto quasi senza accorgersene, nel nostro piccolo, facciamo girare un piccolo ingranaggio della macchina del riuso globale grazie ad un semplice spostamento della nostra percezione del possibile.
Insomma, in un mondo dove la riparazione sta assumendo una dimensione politica di proporzioni quasi rivoluzionarie, anche a Firenze qualcuno sta cercando di fare la differenza.
di Guglielmo Torelli