Jingle Bells, suonano le campane. Last Christmas, l’ultimo Natale, che alla fine sembra un film di Lars Von Trier. Tu scendi dalle stelle, l’inno perfetto per una setta di contattisti che aspettano astronavi da Nibiru. Astro del ciel, in pratica il contendente italiano a Goldrake.
Ci siamo signori: allacciamo le cinture e torniamo bambini. Anche se quei bambini che credevano a Babbo Natale, quel signore che somiglia nell’aspetto a Karl Marx e nel carattere a Pierluigi Bersani, sono cresciuti in fretta. La letterina, che un tempo era una sorta di lista di prescrizione come il diktat dell’Unione Europea alla Grecia di Tsipras, è sparita.
Siamo arrivati all’estremo opposto. Il regalo diventa una forma di redenzione: con lo stesso paradosso con cui stiamo attenti a non sprecare un goccio d’acqua, nonostante la Terra sia composta al 70% da H2O, la frenesia del riuso ha contagiato anche il nostro status, facendo del regalo a sua volta uno spreco. La fine della Prima Repubblica, quando si acquistavano le auto nuove, piccole ma nuove, e l’avvento delle compagnie aeree low-cost e dell’Erasmus hanno imposto non solo il dramma della cannella in tutte le torte di mele, ma hanno condotto a un abominio ideologico. Peggiore del gustare una fetta di pandoro con uno Champagne. Peggiore di un menù di Capodanno del 1985 con le crepes affogate e infiammate nel Mandarinetto Isolabella (che poi non si è mai capito che liquore sia). Sono arrivati i regali riciclati. Un’orgia di agende delle più disparate banche italiane ha distrutto le nostre feste, esplose insieme a penne stilografiche Aurora (nel migliore dei casi), candele o candelabri di un gusto tale che nemmeno a casa Memphis, quella di Ricky Memphis, avrebbero potuto essere sfoggiate.
Dovevano dircelo prima, magari al telegiornale. Il 20 dicembre 1998 sarebbe dovuto essere varato un decreto legge per la liberalizzazione dei regali riciclati; almeno avremmo capito che stavamo oltrepassando il limite. Avrebbero dovuto avvisarci che dopo il giro subdolo dei vini itineranti di cena in cena, responsabili di situazioni in cui abbiamo aperto esterrefatti bottiglie di Chianti 1976, il livello era salito fino ai regali di Natale. E tralasciamo la versione metafisica del regalo riciclato, ossia quella della Dzpesca di Nataledz, in cui il dono non solo non ha un acquirente definito, ma nemmeno un destinatario. Follia.
Il regalo riciclato non è un risparmio e farne uno nuovo non è uno spreco. Nemmeno se regalate il cofanetto di Elvis, anche se gli interessati l’avevano già in casa, per ascoltare solamente Blue Suede Shoes.
Andiamo a prelevare e acquistiamo qualcosa, seppur piccola. Almeno quel regalo sarà nostro. Evitando, magari, calzini a scacchi impossibili da indossare a meno che non si suoni con Björk. Buon Santo Natale.
La Sciabolata