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Venezia72. Taj Mahal

Novembre 2008. Louise, una ragazza di circa diciotto anni parte da Parigi con i genitori per Bombay dove ha in programma di trattenersi per due anni per il lavoro del padre. Arrivata in India e preso alloggio nel sontuoso hotel Taj Mahal al centro della città, Louise cerca di ambientarsi, fa la turista assieme alla madre, scatta delle foto e guarda con timore, ma speranza, al suo immediato futuro in un paese così diverso.

Una sera, rimasta sola nella suite dopo che i genitori sono andati a un ricevimento, Louise è sorpresa da inquietanti rumori di spari, grida ed esplosioni provenienti dall’interno dell’hotel che scoprirà essere bersaglio di un gruppo di terroristi.

Tratto dalla vicenda reale di una sopravvissuta all’attacco terroristico che nel 2008 ha colpito Bombay, Taj Mahal del francese Nicolas Sasda, già apprezzato critico per i Cahiers du Cinema, è stato presentato alla Mostra nella sezione Orizzonti.

Interpretato da Stacy Martin (Nymphomaniac, Il racconto dei racconti) il film si apre come solida storia di formazione con al centro una giovane donna desiderosa di costruire la sua nuova identità e la sua vita da adulta lontano da casa, per poi divenire, piuttosto bruscamente, un thriller claustrofobico in cui lo spettatore dovrebbe vivere attraverso le emozioni e le reazioni di Louise l’apprensione per ciò che avviene per lo più fuori dal campo visivo (i rumori, le grida, le voci al telefono).

Purtroppo le intenzioni vengono meno, insieme alla tensione, nel tentativo di una resa iperrealistica supportata da non sufficienti mezzi tecnici.

L’ambizione di tenere insieme le fila di un racconto intimo e insieme di un tragico fatto di cronaca manca l’obbiettivo lasciando del film, che nella sua prima parte vanta una notevole confezione estetica data anche dall’affascinate ed eterea presenza della protagonista e da un’ottima colonna sonora curata da Nicolas Godin degli Air, un senso di incompiutezza.

L’ingenuità di alcune soluzioni fa sì che l’autenticità venga meno, facendo somigliare le sequenze più drammatiche del film a quelle di una fiction non particolarmente riuscita e avvolta in una nube di fumo finto.

Più che buone le premesse, incerto il risultato.

 

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