L’amore per il cinema, gli anni come critico, le sceneggiature scritte, i film diretti e l’indefesso impegno politico. Carlo Lizzani viene ricordato a tutto tondo nel bel documentario diretto da Roberto Torelli e presentato a Venezia nella sezione Il cinema nel giardino.
Il regista, scomparso tragicamente nel 2013, si racconta con numerosi spezzoni di interviste registrati in periodi ed epoche diversi, affrontando la sua lunga variegata carriera sempre attraversata dalla vocazione intellettuale e dalla voglia di alimentare il dibattito politico.
«Per la mia generazione il cinema era tutto»: romano, classe 1922, fin da giovanissimo durante gli anni come critico per la rivista Cinema e animatore di numerose retrospettive, comincia a comprendere la responsabilità di un regista anche grazie alla frequentazione con Luchino Visconti, a cui dedicherà un documentario, e con Roberto Rossellini che ricorderà nel film Celluloide (1996). Amicizia che preluderà a una collaborazione fondamentale quella con il regista di Roma città aperta: «Eravamo tutti scettici verso questo film, soprattutto per gli interpreti, i “comici” Fabrizi e Magnani, ma era finita un’epoca e ne stava iniziando un’altra. Rossellini era il punto più alto di osservazione sul cinema europeo, avrebbe potuto conquistare Hollywood ma, spinto dalla sua tensione etica, preferì girare Germania anno zero». Film di cui Lizzani fu aiuto regista un anno prima di scrivere la sceneggiatura del capolavoro di De Sanctis Riso amaro.
Nel 1954 è la volta di Cronache di poveri amanti su soggetto dell’amico Sergio Amidei «Avevamo timore che Marcello Mastroianni, allora molto giovane, potesse non essere efficace in un ruolo drammatico, ma ci sbagliavamo.»
Il Gobbo (1960) che rievoca i fantasmi dell’occupazione nazista a Roma segna l’esordio, come attore, di Pier Paolo Pasolini «osservava molto, si stava facendo le ossa per rinascere più tardi come regista.»
Tra gli altri film sul periodo fascista Processo a Verona (1962) con Silvana Mangano nel ruolo di Edda Ciano e Mussolini ultimo atto più di dieci anni dopo.
Con Banditi a Milano (1968) interpretato da Gian Maria Volonté, Lizzani decide di indagare la grande stagione del consumismo nella malavita milanese, compiendo un’ulteriore incursione nell’universo dei gangster nel 1974 con il film americano, prodotto da De Laurentis, Crazy Joe.
Dal fascino per il genere western come metafora della società nel 1966 nasce Requescant che sancisce una nuova collaborazione con Pasolini, che partecipò alla realizzazione del film sia come interprete che revisionando la sceneggiatura.
Nel 1980 l’adattamento cinematografico del romanzo di Ignazio Silone Fontamara «lo avevo sempre trovato un romanzo di grandissima modernità», mentre nel ’74 il ritorno al documentario con L’addio a Enrico Berlinguer «un incontro fondamentale che mi aveva fatto comprendere finalmente che l’attività politica la si può fare anche attraverso il cinema cercando di influenzare le coscienze indirettamente.»
Dal 1979 all’ ’82 la direzione della Mostra del cinema di Venezia: «Mi fornisce l’opportunità di stare al passo coi tempi e indagare; poi finalmente posso godere del sollievo dell’immediatezza: per realizzare un film e vederlo uscire ci vogliono anni e anni e io ho sempre fatto fatica a stare fermo!».
Una bella opportunità per celebrare uno dei monumenti del nostro cinema, di cui è ricordata anche la fondamentale attività di storico e saggista, che con misura e modestia amava definirsi “una figura minore”.