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Ben Harper

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Nasce in California nel ’69. Il padre è un afroamericano-cherokee, la madre ebrea con origini russe. Cresce con la parte materna della famiglia perché i genitori si separano quando è piccolo e lui comincia a suonare una lap steel guitar – imitando Robert Johnson – nel negozio di strumenti musicali dei nonni (materni, appunto). E dopo? Dopo diventa Ben Harper, pubblica sedici album (dodici in studio più quattro live), tre dvd, una raccolta, suona in tutto il mon- do e diventa uno dei simboli del perfetto mix tra Black Music, Blues, Folk e cantautorato moderno.

Probabilmente, vista la famiglia in cui cresce (anche i genitori, in verità, hanno sempre suonato), Ben Harper è un predestinato: a soli dodici anni la prima esibizione in pubblico, con tutti che si meravigliano di quanto quel ragazzino abbia già, a scorrergli nelle vene, quel talento clamoroso che fu dei primi grandi specialisti della sei corde. Influenzato tanto da Bob Dylan quanto da Sam Cook e Jimmie Rodgers, il nostro Ben diventa ragazzo continuando ad affinare la propria capacità e sentendo forte il bisogno di usare la musica per unire le persone e per superare razzismo e separatismi. Non suona la politica ma allo stesso tempo veicola da sempre un messaggio politico: fratellanza, cambiamento, ottimismo (e in questo è stato visto da alcuni come uno dei possibili figliocci contemporanei del mito Bob Marley).

Se si osserva la parabola discografica di Harper, non si può non ammettere che il ragazzone di Claremont (80 chilometri da Los Angeles, vicino a dove il deserto comincia a riempirti di polvere davvero) non è uno di quelli che si accontentano o scelgono di cullarsi sugli allori. Ben Harper ha sempre continuato a fare ciò che quella testa geniale che si ritrova gli ha suggerito di tentare, anche una volta ottenuta una fama planetaria che, sia a livello di conto in banca che di popolarità e comfort vari, gli avrebbe consentito di fare anche solamente un paio di dischi bruttocci – magari con qualche featuring pallosetto – e poi ritirarsi a fare dj set a duemila dollari a serata in mezzo a Cuba Libre e ragazze ammiccanti (belloccio il Ben, no?). Il fatto è che il suo amore per la chitarra gli impedisce di staccarsene, gli impedisce di non continuare a spaziare nei campi della Soul music che si condisce di Folk e R’n’B, poi di Blues, poi di colpi Rock.

Il disco-colosso è quel “Diamonds On The Inside” del 2003 il cui singolo omonimo sarà per sempre piace- vole da ascoltare, così semplice e allo stesso tempo ricco da meritarsi il bollino di tormentone (buono) estemporaneo. Per il pubblico più generalista, quello è stato il disco della consacrazione, però Harper di cose buone ne aveva già fatte. L’esordio (1992) fu “Pleasure And Pain”, con tiratura bassissima e zero distribuzione, che lo fece comunque conoscere subito a chi conta: la Virgin gli propose di lavorare ad un disco marchiato con il suo bollino e Ben Harper creò allora quel “Welcome To The Cruel World” che nel 1994 lo lanciò nel mercato discografico. Volontà, passione, forza: queste le armi del californiano, da subito. “Fight For Your Mind”, del ’95, è per certa critica il suo lavoro più riuscito. Interessante notare che, quasi vent’anni dopo, BH abbia colpito ancora una volta il centro con un disco non banale, elaborato con un compagno di viaggio particolare e, again and again, senza apparire autoreferenziale, statico, superfluo.

È infatti nel 2013 che esce “Get Up!”, suonato assieme a Charles Musselwhite, armonicista di grossa fama, all’occorrenza anche chitarrista. La formula harperiana per non cadere nel baratro dei musicisti che, dopo tanti dischi, mandano fuori qualcosa che sa di obbrobrio? È semplice: unire le forze, collaborare con chi ha l’attitudine giusta, con chi pulsa ancora di vita vera, per prendere quelle roots di una volta e fargli fare da supporto ai suoni di oggi. Che forte sei, Ben. Credo che i grandi bluesman del passato ti stringerebbero la mano, complimentandosi per il tuo modo suadente di fare musica e, magari, anche per aver sposato Laura Dern (anche se poi vi siete lasciati).

La bella notizia per i fiorentini è che Ben Harper suonerà a Firenze, al Teatro Verdi, il 10 maggio (ore 20.45). Sarà un’occasione ghiotta per ascoltarlo in acustico, dato che sta facendo un tour mondiale con la chitarra meno rumorosa. Scaldate le orecchie, la Black Music è (ancora) qui.

– Teatro Verdi 10 maggio 2014 –

 

di Emanuele Giaconi

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