di il tavolo del prosecco –
La Galleria Biagiotti è nota per il fervido lavoro di talent scout di giovani artisti contemporanei. Il successo di questo approccio coraggioso è testimoniato dai vari nomi che da sconosciuti sono diventati noti grazie a questo trampolino di lancio. A coronamento di 15 anni di onorata carriera, come si suol dire, la Galleria diventa Fondazione e ci rinfresca la memoria proponendo, come da titolo, un’antologia del suo operato. Per ovvi motivi la mostra è priva di un progetto curatoriale ma tutte le opere esposte ripercorrono le tappe, i nomi e le correnti, l’evolversi di un linguaggio e l’affermazione che quelle opere, seppure “datate”, sono ancora attuali. Il tempo, come in molte cose della vita, nel suo scorrere passivo fa da filtro e consegna ragione e torto. Il tempo fa sì che se un’opera è valida tale rimane, mentre se è solo un successo modaiolo risulterà inevitabilmente superata. Ecco, il tempo gli ha dato ragione. La mostra è godibilissima e, per chi è un abitué della Galleria, apre ricordi di un passato recente, di quando Nico Vascellari era un esordiente provocatore ed Ericaeilcane era conosciuto solo negli ambienti della street art. Tanti nomi: Marco Cingolani, Cristian Chironi, Daniela De Lorenzo, Fabiano De Martin Topranin, Ericailcane, Andrea Facco, Andrea Galvani, Federico Gori, Brigitte Kowanz, Alberto Lapenna, Andrea Mastrovito, Giovanni Ozzola, Luca Pancrazzi, Robert Pettena, Arin Rungjang, Marco Maria Giuseppe Scifo, Serse, Sissi, Maria Francesca Tassi, Sandra Tomboloni, Nico Vascellari. Tante opere: installazioni, fotografie, dipinti, sculture e video, lavori eterogenei che non si ascrivono a nessuna tendenza in particolare, ma che rendono esempio della poliedrica attività culturale sviluppata. Bella la scultura di legno di Fabiano De Martin Topranin, semplice, ruvida, significativa. Misterioso, quasi esoterico lo sguardo di Nico Vascellari, fasciato in tessuti coloratissimi in un paesaggio autunnale, nella foto Nodo terziario, a cui fa da contrappunto visivo Sissi, anche lei annodata, appesa e sospesa in un intrigo di corde che si materializzano, nella terza dimensione, in tubi metallici che fuoriescono dalla cornice. Commovente la storia di un emigrato del sud Italia, massacrato di botte da un gruppo di razzisti tedeschi perché scambiato per un filippino, testimoniata da una lettera scritta a mano su un foglio A4 e da una manciata di fotografie nell’installazione di Arin Rungjang. Divertente e surreale il ritratto che Robert Pettena fa di un pasto consumato con difficoltà da commensali borghesi costretti nei colli di plastica con cui i veterinari impediscono ai cani di leccarsi le ferite. E poi un classico Ozzola, un dittico del 2003 in cui elementi naturali e fiori coloratissimi, sfuocano nell’ombra cupa di un sottobosco e dell’obiettivo. Dulcis in fundo i preziosi bozzetti a matita di Ericaeilcane, rappresentanti una poetica tigre-supereroe, umanizzata come nelle illustrazioni dei libri di favole. Una mostra corposa in cui gli approfondimenti potrebbero sprecarsi, perché le carriere di questi artisti sono ricche e si può dire che in questo la Galleria ha veramente fatto la storia.