di tommaso chimenti –
C’è un rebus da scoprire, un mistero da scovare. La magia del sudoku e delle parole incrociate che nascondono significati reconditi nel bianco, nei gorghi della memoria, s’incastrano a dovere facendo emergere la verità. Ci vuole calma e sangue freddo per poter gestire i dettagli che la realtà regala, elargisce, dissemina sul campo in particolari, in elementi che, il più delle volte, consideriamo ininfluenti, marginali, superflui.
Amore, musica, solitudine sono i perni, i cardini delle “Variazioni enigmatiche” (dal 29 gennaio al 10 febbraio al Relais Santa Croce, nell’affascinante Sala della Musica, in via Ghibellina 87) un continuo gioco di rimandi, a levare, di dubbi, da sollevare, di polvere, da nascondere, di luce in fondo al tunnel sempre postposto, spostando l’asticella un po’ più in alto. Il luogo è raccolto, il pubblico vicino, a sentire la tensione ed il respiro, calato completamente nell’azione intima e coinvolgente.
Il testo di Eric Emmanuel Schmitt, diplomatosi al Conservatorio, (dalla sua penna sono nati, tra gli altri, anche “Il visitatore”, “Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano”, “Piccoli crimini coniugali”), sulla scena, ritorno il suo dopo venti anni, il regista Saverio Marconi, fondatore ed anima della Compagnia della Rancia, il gruppo che ha riportato in auge in Italia il genere musical.
Un Premio Nobel ed un giornalista. Un tempo imprecisato, un’isola dispersa nel Mare del Nord. Lontananza, freddezza e calore, distanza e confessioni, avvicinamento e repulsione, nel mezzo una donna, non sappiamo quanto reale e quanto immaginaria, immaginata, deizzata, mitizzata, virtuale. Il tempo si ferma nella stanza delle parole a ripercorrere un passato pesante, i nodi da sciogliere.
Ci sono quattordici variazioni sulla stessa melodia tratta dalle Variazioni sinfoniche opera 36 “Enigma” del compositore britannico Edward Elgar e, in particolare, dalla nona “Nimrod” che ricorre come oscuro leitmotiv nel corso della piece.
Ogni volta sembra la stessa, invece si modifica. Ogni volta appare uguale ed invece tradisce una mutazione millimetrica sul pentagramma. Ad ogni variazione uno scatto della scena, dell’emotività travolta dei due in battaglia verbale, uno scarto nella conoscenza, a ritroso, nel fondo del pantano, nel pozzo dei ricordi impossibili da occludere. Spietatezza e pietà, violenza e pena, decisione e durezza da un lato e carità e sensibilità dall’altro creano una parabola armoniosa, un cullarsi docile ed aggressivo dove non è auspicabile mai abbassare la guardia, mollare la presa, distendersi, cercare solidarietà e conforto nell’altro, sempre intuito come ostacolo, nemico, scoglio da abbattere: “Il bello del mistero è il segreto che contiene, non la verità che nasconde”.
È una guerriglia con sorrisi tirati, una punzecchiatura elegante ma continua, senza cadute di stile, ferite con coltelli di ghiaccio come parole conficcate là dove fa più male. Da commedia a dramma il passo è breve. E poi ci sono le lettere, le missive che quest’uomo, immerso nel suo esilio volontario, nella sua aura di successo inscalfibile, scrive nel suo amore patologico a questa donna misteriosa. Un grande punto interrogativo: “Come fa ad essere sicuro che la verità riveli più della menzogna?”.