di tommaso chimenti
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C’è Euripide dietro tutto il lavoro nella creazione di Giancarlo Cauteruccio (e del suo nutrito pool di professionisti) che, il 10 dicembre al Teatro Studio di Scandicci, presenta per la terza volta, e per la terza volta cambiato dal luogo stesso che si fa drammaturgia, impedimento e possibilità, questa nuova arcaica tragedia dei tempi antichi come di quelli moderni senza soluzione di continuità. Terza tappa del progetto “Teatro Urbano” ideato dalla compagnia Krypton, dopo le due tappe estive, in Piazza delle Erbe a San Gimignano, ed all’acciaieria Lucchini a Piombino (fondale della pellicola di Stefano Mordini e del libro di Silvia Avallone “Acciaio”), appoggiato da Daniele Spisa per le scene, Fulvio Cauteruccio per la recitazione, Virginio Liberti alla drammaturgia, Monica Benvenuti per il canto, Patrizia de Bari per le coreografie, Loris Giancola alle luci, Alessio Bianciardi il video, Massimo Bevilacqua per i costumi.
Tre luoghi, tre peculiarità diverse: “Abbiamo cercato tre luoghi non centrali nel panorama toscano – spiega il regista Cauteruccio – un itinerario che ci portasse ad un centro storico, alla criticità di un’area industriale, fino alla nostra area metropolitana”. Tre luoghi impattanti, fortemente caratterizzati, un viaggio, un racconto: “Abbiamo pensato al Mito immaginandolo come una rilettura del contemporaneo sulla condizione della donna. Abbiamo voluto mettere in relazione l’essenzialità e l’estetica della grecità, il ritmo ed il suono degl’inglesismi.
Dieci le donne sulla scena (Laura Bandelloni, Irene Barbugli, Martina Belloni, Debora Daddi, Martina Lino, Hitomi Ohki, Flavia Pezzo, Elisa Prosperi, Daniela Ranzetti, Maria Elena Romanazzi), cinque attrici, tre cantanti liriche, due danzatrici, tutte vestite con abiti da sposa. Ma queste sono mogli scappate, fuggite dall’incendio di Troia, cosicché i loro abiti di festa e felicità nuziale, prima candidi e puri, sono bruciati, impastati, corrotti, sciupati, come se fossero tele di Alberto Burri date alle fiamme, distrutti, consumati, divelti e corrosi con la fiamma ossidrica”.
Il luogo determina l’allestimento scenico, ogni situazione prevede una sua peculiarità legata allo spazio che lo ospita: il grande muro della Cattedrale di San Gimignano, le macchine di ferro di Piombino. A Scandicci l’azione sarà divisa tra il filtro dell’esterno, prima che lo spettatore arrivi dentro la pancia del teatro.
“Sarà come un attraversamento per giungere poi dentro la sala in una situazione di interiorizzazione, come entrare dentro il cuore, il corpo, con tutta l’esplosività dei due allestimenti estivi per trovare qui, invece, una sorta di rarefazione, il vivo della parola. A San Gimignano c’erano ambulanze e macchine sovrapposte e centinaia di assi di legno, a Scandicci l’elemento principe sarà l’acqua, ma anche la terra e la sabbia. Solo donne in scena, gli uomini-aguzzini e carcerieri e stupratori sono stati volutamente eliminati e soltanto evocati, all’inizio ed alla fine, attraverso la voce degli Dei che se ne sono andati abbandonando al loro destino le Troiane”.